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Si potrebbe anche “estremizzare” in questa sintesi un pochino “arbitraria” una parte consistente del messaggio che Il regista turco Nuri Bilge Ceylan intende farci arrivare con il suo bellissimo “Le Tre Scimmie”, Palma d’oro per la regia a Cannes (e in effetti talento nell’usare i mezzi, stile ed uso delle luci sono notevolissimi….). I soggetti incaricati di “comunicarcelo” sono i tre elementi di (padre, madre e figlio), incapaci di impugnare davvero le loro vite fino in fondo, passivi, talvolta disperati, , altrimenti preferiscono fuggirla, “rimanerne in disparte”.
(lo eviti accuratamente chi ha il debole per l’adrenalina a tutti i costi….) e “racconta” per l’appunto senza fretta, compassato, lasciando trapelare ogni tanto deboli indizi, pressando talora lo spettatore con piccole domande irrisolte che hanno l’effetto di creare tensione narrativa ed interesse e di immedesimare un minimo anche chi osserva in quelle “sabbie mobili dell’irrisolto”, che finiscono per logorare i protagonisti in un lento e colpevole stillicidio.
La prigione è un “comodo” rifugio…il cimitero un luogo dove poter una autovettura un “urgente bisogno” che possa alleviare le delusioni e il fallimento della vita.
Che siano dalle voci sbiadite o di occhi intensi che annaspano, sguardi che non sanno dove poggiarsi “orfani” delle parole giuste che mai arrivano in soccorso, risulta assieme a tutto il campionario di debolezze che le accompagna.
desiderosi di “carpire e godere” cosa è “la settima arte” quando essa si presenta nella veste “tutta profondità e niente fronzoli”.