Viaggio dentro al gorgo di un terribile “quotidiano”…pulsante…vero…
….Più diffuso di quanto non crediamo?…
……..Potrebbe essere, poi, anche una “nostra” storia?…
ci consegna un Ferzan Ozpetek molto più duro e acre del solito, che magari dà l’impressione di esser “imbrigliato” tra le pagine “dure” della Mazzucco, comunque senza tutte quelle situazioni di “alleggerimento” che quasi sempre hanno contraddistinto il suo cinema.
Un paio d’attori su tutti (Mastandrea e Ferrari) a dare “corpo e disperazione” a quella forma visiva che si chiama cinema, ma che si chiama anche vita, se non restiamo fermi e dispersi a pensarla “sola” e soltanto proiettata su di un telo bianco.
Vita che si frantuma in spari sordi che irrompono su una inquadratura, campo vuoto, di voci che urlano e poi tacciono in luogo del divenire di e lascia sul pavimento solo morte e tristezza, incubo e disperazione.
I problemi e le ansie sono “proiezioni”, strali che abbandonano lo schermo e vanno a incidersi come “cicatrici malevole” sul cuore dello spettatore… , eppure in fondo accade ovunque…. e sempre vicino ai “nostri luoghi”.
Ozpetek si fa carico lui, stavolta, di raccontarci “altre” parcelle di vita e dolore, di seguire il percorso di uomini arrivisti, anaffettivi o disperati, fino a farceli vedere crollare in lacrime, sotto lo sguardo di incolpevoli bambini, che possono solo cominciare ad imparare a percepire il dolore (o la follia…)…
….o ad alienare il tutto, a riparare in difesa di se stessi…
.
La società che scorre in immagini… quella famiglia, quel dramma….
Ozpetek, forse stavolta esce fuori dal suo “seminato”, a scapito del suo stile o della sua fantasia, ma l’onesta urgenza comunicativa lo rende “un migliore” comunque”, di sicuro vivo, cattivo….efficace…
Chiude uno squillo del telefono che, più che un “annunciato presagio”, è il sipario che si apre su un futuro che non si annuncia affatto felice…