La banda musicale della polizia di Alessandria d’Egitto, durante la ricerca del Centro di Cultura Araba dove all’indomani dovrà suonare la propria musica, si perde in uno sperduto ed arido paesino d’Israele ed è, gioco forza, costretta al “contatto” con gli ospitali residenti locali.
Con tocco leggero ma capace anche di repentine e profonde discese nel “denso” vivere che segna e modifica, , ognuno con il suo percorso e le sue “piccole e grandi delusioni e aspettative”, ai quali il “fugace contatto” di una notte accenna ed indica nuove possibilità e speranze.
L’intraprendenza dell’uno come la generosità di altri scioglie la timidezza, tesse relazioni, crea piccoli pertugi di accesso nelle dimensioni sconosciute degli “stranieri”, “anfratti” dove non è necessario affatto “entrare del tutto” per colpire nel segno…. e così facendo appare di tutta evidenza come il regalare calore umano ed il propendere verso il nostro simile equivalga a spargere il “sale della vita”.
Alleggerendo di tanto in tanto con toni da commedia, ma altrettanto bravo nel , utilizzando in “primo piano” la figura di un militare suo malgrado costretto in una situazione ai suoi occhi (e soprattutto alla sua “forma mentis”) oltremodo sconveniente, Kolirin abbatte “difese e protezioni” dei suoi protagonisti, dischiude drammi intensi e piccoli malesseri, regala compagnia alle solitudini, porta a termine “piccole incompiute”.
Neanche troppo esplicitamente , ma non l’unico, amore e rispetto l’unico auspicabile “eterno DNA” dell’uomo, perché è importante il concerto ma soprattutto quando e dove “l’orchestra” cominciano a suonare….