LE NOSTRE RECENSIONI CINEMATOGRAFICHEConsigli e dissuasioni psicologichesui film da vedere e da non vedereal cinema – 20

Storia autobiografica a fumetti della regista/autrice Marjane Satrapi, già incensata dalla critica per il suo “parallelo” lavoro a fumetti.
Condensato in stile “bignami” dell’ultimo secolo di storia dell’Iran, confezionato con molto garbo e gradevolissima eleganza. Stile “mutuato” (giustamente) dal fumetto omonimo senza “additivi” in aggiunta se non piccoli schizzi di colore ed iniezioni sporadiche di tridimensionale.

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una pellicola come questa, ben accolta da una amplissima “platea circolare”, per motivi che hanno a che fare più con la “divulgazione storico-sociale e morale” che non con l’opera stessa.
La simpatia che sprizza dall’alter-ego in cartone di Marjane Satrapi (si pronuncia “Margiàn Satrapì”) e senza dubbio coinvolgente, quasi impossibile non esser solidali con chi descrive in toni tutto sommato “rilassanti” tale retroterra e sofferenze.
Ed in effetti il più grande pregio di questo “Cartone che viene da lontano” sta proprio nel “fondere, avvicinare, ridurre distanze, renderci partecipi di un “crogiolo culturale” in corso così come delle barriere e delle differenze ancora esistenti (ed in parte invalicabili), oltre che, (la crescita di Margie, i ricordi del fidanzato dopo la separazione, le istantanee del matrimonio, l’inseguimento sui tetti e la sua tragica fine).

Eppure nonostante gli “echi di Bakunin”, pur condividendo che “nazionalismo e religione sono le uniche cose ad unire la gente”, l’effetto d’insieme non riesce a “scaldarci il cuore davvero” e soprattutto non si “vola alto” quanto si dovrebbe (e si potrebbe…)
Risulta persino ovvio che , così come la ridondanza di “integrità, sani principi e voglia di libertà”.
Ed infatti “Dio e Marx” a braccetto non “scendono dallo schermo”, l’ideologia rimane a “galleggiare” come i “cigni di pane” e nonostante ci si immedesimi molto nella “pelle” di chi non riesce mai a sentirsi a casa propria e la subalternità femminile di “questo emisfero” susciti molta partecipazione, le note di “Eye of the tiger” sono una cifra espressiva che finisce per tirare al ribasso.
Godibilissimo, da vedere, per carità, ma lo “slancio” si impantana appena oltre l’ostacolo…

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