Inquadratura fissa di un ponte…macchine che corrono sopra le sue corsie… immagini
Lo si capisce immediatamente che con siamo capitati a da Gus Van Sant: è un “lavoro da professionisti”, e ci sono in campo tutti i mezzi del mestiere usati con “istinto, sapienza ed oculatezza” (Super8, Steadycam, montaggio “strappato”…)
Descrivere una generazione, “da dentro” senza esserci dentro… dipingere i colori dell’alienazione quotidiana, del disadattamento, della “lucida follia”… ARTE COMUNICATIVA E “VISIVA” DEL CINEMA….
Alex (un bravissimo Gabe Nevins) è un giovane studente, un adolescente…”uno skater”…
Si trascina (annoiato?…. non sapremmo dirlo!…) lungo il corso della vita…. . Lo attraggono solamente, ma senza “entusiasmo vitale” i “duri e puri” di Paranoid Park, uno “spazio-quartiere” dove si impara a “volare su tavole di legno”, palestra di follia, sguaiato contesto di ribellione, degrado, DIVERTIMENTO, SVAGO, rifiuto sociale, abbandono ed “inconsapevole disperazione”.
Suo padre e sua madre stanno divorziando (“Un padre e una madre che si separano non è la cosa più grave che ti può capitare: c’è la guerra in Irak, la gente che muore di fame…”).
Non può “permettersi” una guida sicura questo ragazzo, deve convivere con le sue mancanze di sicurezza, i suoi dubbi atroci: i “grandi”, anche quelli giovani ed in fase di mitizzazione di “Paranoid Park” fuggono ben prima di lui quando le cose precipitano. Suo padre più che un educatore somiglia ad un inconsistente “centro di assistenza a gettone”.
In una notte alla ricerca di “emozioni facili ed a buon mercato”, saltando sui treni merci in corsa… troppo zelante e di “antipatica intraprendenza”… una spinta….un gesto maldestro, involontario, istintivo…
Non c’è cattiveria in Alex, mentre sotto la sua esistenza si apre la gigantesca botola dell’incubo, ma soltanto “irresponsabile vaghezza”, tutto il “vuoto pneumatico” della vita che gli nega quelli che sono i più tradizionali appigli.
In balia della corrente, senza intenzione, senza “decisione”; per i ragazzi, e a “Paranoid Park”, talvolta (oramai sempre più spesso…) la vita è qualcosa di più grande di loro…nessuna consapevolezza, nessuna maturità, sbando totale misto a delirio ed innocenza…. mancanza di riguardo…. (irriverenti, ridono di un “drammatico” corpo tagliato in due sulla ferrovia…).
Mangia senza intenzione o appetito Alex, interrompe il pasto in un batter di ciglia ma si alza da tavola e cammina poi con innaturale lentezza quando il detective lo chiama per porgli alcune domande di prassi: occhi fissi, risposte precise, fredde, da automa (primo piano ESEMPLARE sulla sua impassibilità)…. Atti straniati, freddi, innaturali.
Mentre suo fratello di 13 anni racconta barzellette sboccate, lui lascia che l’apatia lo alieni lentamente dalla vita, le cui sensazioni “sono consegnate” sotto forma di parole semplici ma agghiaccianti al suo diario.
L’obiettivo (vago, indefinito…quanto interessante?…) è, forse, solamente la “scopata sicura” (“farla è sempre meglio che no”).
, che finalmente sembra aver definitivamente abbandonato i “Geni Ribelli di poca profondità” ed invece, proseguendo la strada imboccata con “Elephant” coglie tutta l’essenza dello spaesamento come del lancinante dolore e delle difficoltà degli adolescenti in genere e nello specifico di quelli Americani.
nel suo “descrivere e filmare”, , riportandoci attraverso gli occhi di Alex connotati, ansie e debolezze di tutta una “tribù generazionale”.
Non si ferma nè al “fatto” (il casuale incidente/omicidio) nè a come, in fondo, “ci si arriva”, ma , “distrattamente e svogliatamente” distribuita tra sesso, gioco e scuola e nient’altro.
come Lynch, assai “più convincente e molto meno ammiccante” di Larry Clark, aiutandosi di tanto in tanto con le note della “giostra Felliniana”, assai utili a creare ulteriore “deformazione”, Van Sant muove flessuosamente le sue immagini “asciutte e devastanti” tra le parole del diario del suo protagonista, indaga tra le atmosfere prodotte da società e famiglie “sulfuree, evanescenti, frantumate e disgreganti”, rende perfettamente la sensazione di una “doccia che è una pioggia di aghi” che si conficcano dentro mente e corpo di un ragazzo travolto dall’esistenza, ineludibile dolore e triste anticamera di un amaro procedere del destino.
Sprofondiamo assieme a lui, lentamente, inesorabilmente, nell’incubo, attraverso il varco di una “innocenza malata”, senza cuore, tra disperati tentativi di protrarre artificialmente la “normalità”, difesa estrema, ingenua alternativa alla fine, al baratro.
Filma tutta l’impotenza dell’, incapace di razionalizzare, sfogare….liberarsi; brucia la sua lettera-confessione, , vicolo cieco, fiammeggiante e , struggente capolinea di una ennesima “cronaca dell’assurdo”.
Sfugge a questo “solenne finale d’immagine” Van Sant inserendo a seguire fotogrammi da un altro “paio di set”, con “Alex stordito ed addormentato e rumori di fondo di skaters”.