Il nuovo lavoro del “maestro” David Cronemberg è che lo stesso ha deciso di intraprendere, a mezzo cinema, svariati lustri or sono.
Da sempre il regista canadese ha scelto di cimentarsi nel rapporto con “il corpo, il sangue, la mutazione”, talora mischiate al “ferro, agli elementi, allo sconosciuto”, e nonostante anche questo (che in originale però eran “promesse”, meno “personali” quindi e forse giustamente più descrittive di una realtà d’insieme…), possa sembrare “di primo acchito” una pellicola “di genere”, sulla mafia russa, l’obiettivo viene puntato ed è decisamente in altra direzione, esattamente come nel precedente “A history of violence”.
D’altronde le “stimmate” di Cronemberg vengono esposte subito davanti ai nostri occhi: i primi “tetri” dieci minuti di pellicola già ci offrono colli flottanti sangue, lugubri figuri, una placenta che cede di schianto in un negozio,
Come al solito non si gioca al risparmio con le immagini forti, ma nulla è gratuito davvero e , “concetti, fisicità e sostanza” di realtà distanti, sconosciute. Se davvero vogliamo capire dobbiamo mescolarci a tutto questo e Cronemberg “si aiuta e ci aiuta” alla sua maniera, con il suo stile.
La sua nuova “musa” (bellissimo ed eccellentemente “caratterizzato” il suo personaggio, “dolce e spietato, calmo ed audace”, così come e quando necessità impone) , tra coltelli uncinati, riti iniziatici, padri putativi, fratelli di sangue o “del sangue”, tatuaggi che raccontano storie e codici misteriosi.
per accompagnarci in giro tra le sponde di “un inferno”, uno dei tanti di questo pianeta, l’ennesimo universo parallelo al nostro che grazie alla capacità di “filmare intensamente” di alcuni cineasti abbiamo la possibilità di visitare, anche se solo (per fortuna?…) virtualmente.
Qui, in “Eastern Promises”, il torbido viene scoperchiato senza complimenti, si squarcia il velo delle tenebre e del mistero e ; un mondo tentacolare, diviso in caste, gerarchie, esseri umani come vittime sacrificali, schiavi o merce di scambio,
Io posso fare poco testo per quel che riguarda questo regista: lo seguo da sempre e lo amo profondamente, “visceralmente”, .
Al tempo stesso ritengo che forse solo con “Crash” (anche allora il fido Howard Shore alle musiche, al tempo metalliche e graffianti) sia stata raggiunto il vertice, l’eccellenza.
, che “racconta” sempre con “storie e stili” mai ripetitivi, banali o privi di immensa genialità, o pronto per esser consegnato alla imperitura memoria della “settima arte”, da tempo immemore riesce a fare, con “sensibilissimo” ardore e straordinario risultato d’impatto.