Abbiamo visto l’invedibile al di là delle immagini tagliate dei tg. L’orrore non è stato mitigato, anzi. Le sagome indistinte esultanti dietro la macchina bruciata nel fumo avvolgente di un crudele "effetto speciale" ci hanno restituito la scena integrale dello scempio sui corpi che ci dicono bruciati vivi, mutilati, infilzati da bastoni, esibiti per le strade di Falluja. Immaginare il linciaggio. Immaginare i pezzi di carne umana sparsi sulla strada a disintegrare l’idea di persona è diventato un leit-motiv del nostro quotidiano, mosaico allucinante disseminato sui continenti, non solo da Madrid. Su tutto la storia di quel bambino che mette il piede sulla testa annerita di un morto e grida "Dove sei Bush? Vieni qui a guardare!". La scena si propone a diverse interpretazioni. Di chi è a favore della guerra in Iraq e denuncia la barbarie di quella parte di mondo, al quale va portata la democrazia. Di chi all’opposto denuncia gli effetti dell’occupazione militare e ascrive la festa macabra di folla, gli applausi e il rituale dei cadaveri appesi sui ponti alla resistenza irachena. E di chi come noi partecipa a una doppia tragedia. Andrè Glucksmann sul Corriere di ieri affronta i pacifisti che sventolano i loro "deliziosi striscioni" di pace mentre "quelli concludono la loro festa a colpi di vanga e di pietre su corpi incendiati". Ancora gli imbelli "sublimi" manifestanti globali che legittimano il terrorismo come risposta asimmetrica dei poveri della terra all’occidente avido. Sparando addosso alla "brava gente" color arcobaleno, Glucksmann non sa di ballare a Falluja nel triangolo sunnita insieme ai suoi nemici. Se, come fa, divide con una linea retta amore-odio, civiltà -barbarie, Occidente-Islam, qualcuno finirà per parlargli delle teste mozzate dei vietcong sulle baionette dei marine in una corsa sanguinaria al rialzo, somma e bilancio di ogni crimine di guerra, e del numero di vittime civili che battono di molto il record di soldati uccisi negli ultimi conflitti. Siamo autorizzati a piangere per ogni linciaggio solo se quella linea viene spostata, diventa obliqua e passa trasversalmente tra i mondi. Non c’è una sola America (e quella di Bush sta andando a rotoli) nè un solo Islam.
La risposta alle Twin Towers ha sgretolato l’idea di democrazia, pericolosamente ceduto l’occidente alle logiche del massacro, dissipato il nostro patrimonio di indignazione verso la macelleria della guerra e del terrorismo. Come potremmo non reagire violentemente con la pace all’ossessiva gara dei morti? La risposta delle bandiere multicolori è l’unica possibile non solo perché sottrae i quattro americani all’orrenda carneficina ma perché salva anche quel bambino danzante sul teschio bruciato. Insegna la politica. Osiamo e come, Glucksmann, "guardare in faccia l’odio e il fanatismo per come l’eternità li riproduce". Abbiamo visto e sentito le urla dei quattro sbranati dalla folla semplicemente perché quell’odio e quel fanatismo ci circondano. Ma non è l’eternità a riprodurli. I responsabili hanno nomi e cognomi, e si frequentano. Ballano con i lupi di Falluja e di Washington.