l’editoriale di

La guerra è un vecchio, inservibile arnese. Non è in grado di ristabilire nessun equilibrio geopolitico, neanche se a volerlo è l’unica superpotenza rimasta. Il terrorismo, che non ha mai una giustificazione, va contrastato con azioni politiche.

Sono i messaggi ribaditi ancora una volta dalle persone che – a milioni – sono scese in piazza per la pace il 20 marzo nel Nord del mondo: in 250 città  americane, in tutta Europa, in America latina, in Medio Oriente e pure in Giappone e Australia. è politicamente rilevante che tanti americani abbiano detto un "no" secco alle avventure imperiali di George W. Bush, ma è ancor più rilevante che tanti cittadini europei abbiano confermato che l’Europa deve e può avere una visione del mondo distinta da quella di Washington.

In Europa una parte importante dell’opinione pubblica si è mobilitata non a causa ma nonostante l’attentato ai treni di Madrid dell’11 marzo scorso. La paura – che pure c’è, è palpabile e rischia di frenare l’espressione di una piena cittadinanza – non ha indotto gli europei di Roma, di Londra, di Berlino, di Parigi, di Madrid a rinchiudersi, a tacere. Questa società  civile non si accontenta (se mai lo ha fatto) di portare una sommessa testimonianza genericamente pacifica e pacifista.

Dice invece a chi ha responsabilità  politiche nell’Ue e nei paesi dell’Unione che è necessario cambiare subito registro (lo diceva anche un anno fa, prima dell’attacco all’Iraq): la pace e la legalità  vanno cercate e ripristinate anche grazie a un’Europa capace di intervenire non con i bombardamenti ma elaborando politiche di mediazione, di ridare fiato alle Nazioni Unite, di proporre sviluppo economico che abbia bene in mente i divari e le ingiustizie Nord-Sud, di promuovere i diritti umani a ogni latitudine, compreso il mondo musulmano.

Queste richieste, che sono risuonate nei cortei, hanno per noi un significato preciso: c’è voglia di progettualità  politica, c’è voglia di politica. Una bella responsabilità , non c’è dubbio, per i partiti e per le istituzioni, che troppo spesso (specie i primi) sembrano non capire e si attardano in contorsioni poco comprensibili.

E una bella prova di maturità  per i variegati movimenti della società  civile, che, proprio perché rivendicano una soggettività , non possono sottrarsi al compito di concorrere, con pazienza e capacità  di mediazione, alla formulazione di proposte spendibili per poi su queste incalzare partiti e parlamento.

Tra il popolo della pace, specie in Italia, ha un ruolo non trascurabile la galassia cattolica. Anch’essa assai variegata e tuttavia con punte di elaborazione su temi specifici (la nonviolenza e le ingiustizie Nord-Sud) che meriterebbero maggior spazio e considerazione nel movimento per la pace.

Ma questi cattolici – dagli scout alle Acli, dai missionari a Pax Christi – si devono porre anche un’altra questione: quanto vogliono contare nella chiesa e nella società ? A parte le prese di posizione del papa ("Non c’è pace senza giustizia"), la chiesa istituzione sta piuttosto alla finestra. E il cattolico medio manifesta uno scollamento conclamato e ormai abituale tra fede e impegno politico.

Non è una questione da poco. Perchè non si può pretendere di mandare a casa Bush & Co. e, nel contempo, non riuscire a muovere una foglia in casa propria.

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