Ci sono molte cose che le vecchie gerarchie militari italiane non sopportano: che in Italia (e solo in Italia) si debba chiamare la guerra con un altro nome (missioni di pace); che i politici dicano quali armi usare o non usare nel campo di battaglia (in Kosovo come in Afghanistan); che il Parlamento "pretenda" di decidere come ristrutturare e riorganizzare le Forze armate, quali armi comperare o rottamare; che il Paese non riconosca sino in fondo la loro importanza, la loro funzione, il loro valore.
Ma, anche per loro, il problema più grande oggi è un altro e si chiama crisi economico-finanziaria. I soldi non ci sono più. L’illusione di continuare ad aumentare la spesa militare è archiviata e ora tocca davvero fare i conti con la spending review.
Il problema resta "come fare" e "cosa fare". e soprattutto: con quali obiettivi? Le tesi emerse nel corso del convegno – un convegno blindato, senza contraddittorio – ci debbono preoccupare non tanto per il contenuto quanto per la totale assenza di una riflessione critica sulle sfide internazionali che il nostro Paese è chiamato ad affrontare e sugli strumenti più appropriati per fronteggiarle.
Le idee del ministro sono tanto semplici quanto disarmanti. Sono passati trent’anni da quando abbiamo fatto la prima missione di pace in Libano. Da allora siamo cresciuti (leggasi le Forze armate), ci siamo liberati della sindrome degli sconfitti (ultima guerra mondiale), abbiamo imparato sul campo a fare la guerra e anche a costruirci delle buone armi (leggasi Finmeccanica), abbiamo inventato i soldati di pace e la via italiana alle missioni militari e oggi molti ci vogliono copiare, non abbiamo nulla da invidiare agli altri, abbiamo tenuto alta la bandiera dell’Italia nel mondo. Ora dobbiamo salvaguardare la nostra "capacità operativa" (leggasi fare la capacità di andare in guerra a 300, 6000 o 10.000 chilometri da casa nostra).
e deve garantire
1) che non ci saranno altri tagli di bilancio,
2) che per i prossimi 12 anni ci saranno almeno le stesse risorse previste ora,
3) che appena possibile ci dovranno essere nuovi finanziamenti soprattutto per l’industria bellica e le nuove armi come gli F35 che vanno assolutamente comprati per restare nel primo gruppo degli interventisti.
La politica, termina questo indirizzo geostrategico-economico, deve sostenere e si deve impegnare di più per far passare queste idee nell’opinione pubblica. Di fronte a questa situazione è non meno grave delle tante altre che stiamo sopportando – è necessaria una più ampia assunzione di responsabilità . Di tutti quelli che vogliono salvare e cambiare questo Paese.