Immagini sontuose, casting scelto con cura ed attenzione, sangue “rosso” e tinte fosche quanto basta per non perdere il giusto equilibrio e non scivolare da un “effetto realtà” giù fino ad un fumettone in salsa-ketchup americana…
La storia “compressa in un paio d’ore” e romanzata, ponendo accenti laddove le corde del cuore vibrano meglio (amore, amicizia, lealtà, generosità…) del Khan di tutti i mongoli, di Gengis il Grande… Non solo guerriero animalesco e spietato, ma anche uomo avveduto, tenace, astuto stratega, corpo ma anche anima e cervello… Tutta intorno un’aura di mistero e di predestinazione come si usano le code di rospo per inventare una fantomatica magia…
Non sono di certo le poco percettibili e temporanee implausibilità (alcuni primi piani di mani troppo levigate e curate per donne che lavorano e uomini da battaglia, bambini cresciuti che si riconoscono fin troppo in fretta nei loro nuovi volti di adulti….) la pecca di questa pellicola, e neanche l’uso di stereotipi, per quanto non smodato, utilizzati per meglio muoversi lungo storie e costumi distanti da noi un migliaio di anni, bensì la mancanza di profondità, di dettaglio, la capacità di regalarci in immagini se non a parole quanto ci mancava (e continua a mancarci…) di un universo antico ed affascinante così come il saper far rivivere davvero sullo schermo un uomo il cui nome è tra i pochi di imperitura memoria su questo pianeta.
Ma di Gengis Khan più o meno quel che sapevamo prima di entrare in sala, sulla sua storia ed il tratteggio del suo carattere, non uno spicciolo in più abbiamo appreso una volta usciti.
Forse Bodrov ha intenzione di approfondire in un Capitolo Secondo ma per ora ci lascia con tanta appariscenza, una buonissima impressione e tanta acquolina in bocca.