NELLA PROFONDITA’ MEDICA MALGRADO LE OPPRIMENTI CATENEGIOIA E DOLORE – L’ALBERO DEL PESCOFATICOSISSIMAMENTE – PRIMAVERA DELL’ANIMAERA SOLTANTO UN SOGNO – CULLATA DAL VENTO

al dottor Fabrizio Cassini

Nell’estesa profondità medica,
valente è colui che intravede
in ogni paziente un suo fratello;
che partecipa, con umiltà,
al grande palpito
dell’umanità gemente.

Nella prigionia
della mia menomazione fisica
mi sento, ugualmente, serena,
egualmente solare, libera
perché aforismi, storie e versi
mi accingo a stilare.
Ho il mio universo
che m’induce a sognare
e la mia luna
che mi fa vibrare.
Mi arrangio in tutto
e, lentamente,
mi adatto a tutto.
Non mi considero
una sepolta viva.
Sono amata
e benaccolta da tutti.
Non provo alcuna noia,
e nessun risentimento
io nutro
verso la mia minorazione,
malgrado le sue opprimenti catene.

Ciò che ho fatto è, soltanto,
che ho imparato a convivere!

Con la gioia
ci ricordiamo che esiste il dolore.

Dopo il dolore
si riaccende e ride la gioia.

Il dolore e la gioia
si mescolano al nostro universo dei sogni.

Laggiù,
oltre la campagna,
osservo muta
e con lo sguardo acuto
l’albero del pesco
che s’appressa ad elargire
alla natura umana
i rosei frutti.
Ciò ritempra
le mie vibranti vene
di canore poesie,
olezzanti come pesche
al scintillante sole d’agosto.

L’albero del pesco,
come la mia luna piena,
mi segue nel poetar!

Amo,
in maniera oltremisura,
la mia piccola, ma preziosa libertà
e la mia indispensabile indipendenza,
acquisite lentamente da me:
risultato della mia piccozza d’acciaio.
Queste elevate vette
le ho, faticosissimamente, raggiunte,
lontana dal mio natio nido,
con lacrime di sofferenza e di gioia
sepolte dentro il mio cuore infantile.

L’usignolo
nel suo impiumato nido,
su un ramo del mio pino,
trilla, vibrando sereno e solare
il suono che sa di mille perdoni:
per lui,
in qualsiasi momento del giorno,
è, sempre, la primavera dell’anima.

Io, pur non percependo
il suo acuto verso,
con la mia poetica fantasia,
immagino che sia lui
a trasmettere nel mio stilare
un senso di quiete profonda.

In una nottata ventosa, stellare e lunare
ho sognato che varcavo
la soglia d’un luogo immaginario.
C’era un immenso splendore:
luce abbagliante d’ogni colore,
che, però, non m’incuteva dolore.
C’era una musica dolce
che m’invitava a reagire
ad ogni avversità della vita.
Mi destai
con un respiro profondo
e più brillante del solito.
Pensai che tutte le mie delusioni
fossero sparite per sempre
e che della mia fisicità spastica
non ci fosse più alcuna traccia;
ma compresi
che era soltanto un sogno.
Un vago sogno!
Abbattuta, mi riaddormentai.

Dal vento
mi lascio cullare.
Il vento della mia antica pianura
ha un suono sonoro,
del tutto particolare e consolabile.
Ha un’eco coerentemente,
percepibile ai miei timpani,
quasi,
fosse una canzone d’amore
che mi circonda sulle sue ali protettive,
inebriandomi di note e profumi sconosciuti.

Pure il vento,
col suo alito possente,
ha un profumo che giunge
da un mondo argano, luminoso e profondo,
dove esistono fiabe e poesie per tutti,
e nelle notti chiare di luna piena,
infonde una colma serena
nel mio stilare e nel mio pensare.
Cullata dal vento,
io mi trastullo,
mi abbandono sulle sue ali,
immaginando
di condurre un nuovo modo di vivere.

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