LA LUNGA NOTTEun altro Decreto Flussi se ne è andato……….e di noi (anzi di LORO) che ne sarà?!?

Come un gratta e vinci, come una lotteria.
Come un gigantesco sorteggio su scala nazionale con diverse incognite al momento dell’estrazione.
E come la maggior parte dei giochi ci sarà il trucco, eccome se ci sarà…
Moduli compilati con difficoltà tra le più diverse;
moduli pagati quando non se ne trovavano più;
moduli pagati ancora una volta perché qualcuno li controlli, li compili per bene, e pagati di nuovo perché qualcuno li consegni più in fretta.
Tutti in fila, tutti appesi alla speranza, e .
Tutti in fila, chi dal giorno prima, chi da due giorni prima, chi arriva in ritardo, chi non immagina neanche tanta folla …..o tanta follia.
Tutti in fila, e la fila non è uguale per tutti.
C’e’ chi è inchiodato al muro e non si muoverà più e chi passa ogni paio d’ore a dare la sua presenza, agli appelli organizzati dai più volenterosi, che distribuiscono numeri d’ordine per mantenere entro livelli di decenza la situazione, numeri che valgono oro, numeri che possono esser venduti anch’essi, se se ne presentasse l’occasione;
ma è molto più facile vendere i “quattro posti” liberi, quando si deve consegnare un unico “kit” ed il massimo previsto è di cinque.
Tutti in fila, ma questa fila è “carsica”, a tratti soltanto diventa un fiume visibile e il momento dopo è una riunione di pochi sopravvissuti, che non vogliono rischiare, che non se la sentono di mollare il posto conquistato a fatica e di tornare magari due ore dopo e ritrovare chissà quale caos e brutte sorprese.
Numero 65 per me, che diventa poi dopo quattro ore il numero 47 “circa”, e che viene addirittura sostituito con un numero 38 intorno all’una di notte, quando oramai sono in fila già da quasi sei ore.
Numero 65 preso per miracolo da mio padre alle tre del pomeriggio, quando voci da più parti mi fanno sapere che gli uffici postali sono già invasi di persone, che la “lotta” è già cominciata.
Numero 65 che non vale per tutti alla stessa maniera. Ad alcuni potrebbe bastare (forse a me basterà…spero…), altri avrebbero bisogno come minimo di numeri a cifra singola.
Ore 19.30: ho cenato in fretta dopo essermi presentato all’appello delle 18.00, torno sul posto, e decido di fermarmi qui; al seguito uno zaino con coperte, panini, qualche biscotto.
Pantaloni del pigiama e della tuta sotto i miei jeans, felpa termica, doppio maglione, giacchetto da neve, guanti, cappello.
Bere poco. Devo bere poco. Potrei non potermi muovere da qui per andare in bagno.
Fisso una grata sul marciapiede sotto i miei piedi mentre sono seduto, già in fila, e ipotizzo ogni possibilità. Con una coperta addosso potrei tranquillamente espletare i miei bisogni fisiologici da seduto.
Perché no…
È importante provare a calcolare tutto, prevedere tutto… e decidere in fretta.
La gente discute, litiga, parla lingue diverse.
La gente parla molte lingue diverse, pochi però parlano italiano.
Io con il mio zaino pieno di “cose” sono il più bello del reame anche qui. Qualcuno ha delle coperte, altri cartoni, altri solo tanta fiducia, tanta forza, tanta speranza.
Io, nato con il sole in fronte, sono il più fortunato anche stavolta ed ho pescato la fila giusta, quella con pochi esagitati, quella con gente simpatica e a modo.
Io che mi aspetto il peggio riesco a cavarmela di lusso: freddo assassino ma tollerabile, per una notte soltanto, via… se solo avesse soffiato la tramontana del giorno prima sarebbe stata tutta un’altra storia.
Io che chiudo gli occhi massimo per 10 minuti vedo concretizzarsi i miei peggiori timori solamente verso le quattro del mattino, quando, poco prima dell’ultimo “appello”, un signore arriva per mettersi in fila con sua moglie e vedendo il “gruppo dei pochi sopravvissuti”, ma non la “fila carsica”, chiede lumi, spiegazioni, minaccia di chiamare la polizia, urla, sbraita, evoca presunti diritti, correttezza.
Niente.
Anche lui, dopo una mezz’oretta, si ritira in buon ordine e rispetterà le regole del gioco decise in questa partita, dalla gente in fila davanti a questo Ufficio postale dell’Appio Latino.
Eppure anche Rosana, una peruviana con la quale ho stretto una fugace amicizia, dice che non è giusto.
Dice che noi ci stiamo a prendere il freddo da nove ore, mentre altri sono a casa che dormono nel loro letto, in attesa che la sveglia li chiami per il prossimo appello.
Dice che è comodo così.
Dice anche che le servirebbe entrare come minimo tra i primi 10 per avere una speranza e invece ha un numero che è una sentenza: 84.
Dice che non è per lei che sta li, ma per sua figlia.
Che ne ha cinque di figli, quattro maschi e una femmina.
Dice che i maschi in Perù se la cavano, ma le femmine….ah le femmine….!
Dice anche che in Perù si riesce a mangiar tutti un piatto di riso, mica come in Africa che si muore di fame, ma che l’istruzione, la tranquillità, quelle sono un’altra cosa.
Un paio di donne romene di grande carattere rivendicano con orgoglio che la parità tra i sessi in Italia è cominciata oggi, ma da loro sono anni che….
Un paio di donne romene son lì da tutta la notte, come me, come Rosana, ma dicono che è giusta questa organizzazione di appelli, di cambi della guardia.
Un paio di donne romene che hanno il numero 13 e il numero 14.
E sfila davanti a noi poi tanta varia umanità, frati con tè caldo e caffè, ragazzi ancora con bevande bollenti e vino rosso, biscotti, cornetti in busta. Una signora passeggia con il suo cane e ci domanda se abbiamo bisogno di qualche cosa. Amici vengono a trovare i loro amici inchiodati alla fila.
Anche io ho i miei amici che vengono a trovarmi.
Io, e forse soltanto io, ho anche la mia famiglia che viene a trovarmi.
Ce ne sarebbero tante di altre cose da dire, ma questo è un racconto breve, disordinato, scritto di getto, e non è un libro, una storia descritta nel dettaglio.
La notte passa, il tempo anche, il freddo invece ci rimane nelle ossa, la stanchezza si affaccia a tratti.
Alcuni neanche la sentono la stanchezza: troppa adrenalina per chi si gioca un posto in paradiso con questa specie di faticosissima e poco divertente roulette. Roulette russa, albanese, marocchina, filippina, bielorussa.
Si punta un pugno di fiches di speranza per i parenti, per se stessi, per provarci soltanto a vedere il mondo da una angolazione migliore, e neanche per sempre, poi…
La mattina ci scalda con un pochino di sole, e arrivare alla 14.30 è qualche cosa di estremamente rapido a questo punto, dopo aver passato il peggio.
Aprono con precisione gli sportelli dedicati al servizio, entrano i primi quattro “miracolati”, quelli che hanno più probabilità di ritirare il tagliando vincente. E poi altri quattro ancora, e altri quattro, in mezzo a persone che cominciano a rumoreggiare, a protestare, a temere, a gridare.
Arriva il mio turno, ed è già passato troppo tempo, potrebbe non bastare tutto questo sacrificio.
Ma lo sapevo bene, fin dall’inizio.
Consegno due buste, la mia e quella di Rosana. Ho deciso che la notte in fila al freddo le è valsa uno sconto nei confronti del destino. Me ne assumo io la responsabilità: se lo merita. Diciannove ore di fila.
E poi me lo ha chiesto con timidezza, con palpitazione, senza furbizia.
14:56:51, 016 il tempo stampato sulla mia ricevuta.
14:56:51, 016: questo è tutto quel che mi rimane in mano.
14:56:51………….e qualche secondo dopo sulla busta di Rosana.
Perché ho consegnato la mia busta prima della sua.
Perché la nostra arroganza nei confronti di non ha limiti.
Perché comunque non è nella nostra mentalità di “pagare il debito”
Si, è vero: io non stavo “giocando” per me soltanto:
Si, è vero: all’interno della mia busta c’era un nome, Ruslan, che non è affatto italiano.
Si, lo so. Avremmo agito tutti così.
Diciamo sempre questo.
Baci, abbracci, saluti.
Smarrimento per alcuni, rabbia per altri,
La fila ancora continua.
Io vado a casa.
Io vado a casa a dormire.
Io una casa ce l’ho, e devo anche riposare bene: domani devo alzarmi per andare a lavorare.

FRANCO ON 15.03.2006

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *