Usa, ucciso il numero mille

NEW YORK
Proprio l’altro ieri, parlando con il figlio, Kenneth Lee Boyd aveva detto che non gli piaceva proprio l’idea di passare alla storia come un numero: il millesimo giustiziato dal 1976, quando la sentenza capitale fu ripristinata negli Stati Uniti. «Sia chiaro – aveva aggiunto il figlio, che nelle ultime due settimane lo ha visitato ogni giorno – non è che lui volesse essere il numero 999 o il numero 1001. Tutto ciò che voleva era sopravvivere». Era anche convinto che tutta questa storia del numero mille, con il sussulto di attenzione suscitato, aveva ridotto le sue possibilità di salvarsi, ma in realtà quelle possibilità erano molto scarse. Gli argomenti portati dal suo avvocato per ottenere una commutazione della pena in ergastolo erano stati, uno, che il quoziente di intelligenza di Boyd era 77, cioè appena due punti dal livello che lo avrebbe fatto considerare incapace di intendere e di volere; due, che prima di quel giorno del 1988 in cui ammazzò la moglie da cui era separato e il padre di lei, non era mai stato convolto in episodi violenti; e tre, che a suo tempo era andato perfino volontario in Vietnam.

Non abbastanza, com’era previsto, per un paese il cui presidente dichiara, attraverso il suo portavoce Scott McClellan, che la pena di morte è un deterrente necessario «a salvare vite innocenti».

E così, ieri mattina alle due in punto, Boyd è entrato nella cella della morte del penitenziario di Raleigh, nel North Carolina, è stato legato sul lettino e nelle sue vene sono stati inseriti gli aghi con la sostanza letale che hanno sostituito la sedia elettrica perché considerati «più umani», mentre al di là del vetro i testimoni non perdevano un gesto. C’erano tutti e tre i figli avuti dalla moglie che Boyd aveva ucciso e colei che li ha cresciuti, Mary Curry, la madre di lei. Il rituale si è svolto regolarmente e a alle 2.15, giusto il tempo di dire «Dio benedica tutti quelli che sono qui», Boyd ha «fatto storia» diventando il giustiziato numero mille. «È solo un giorno triste», ha detto Mary Currie. «La bibbia dice di perdonare ed io l’ho fatto. Ma non chiedetemi di dimenticare». Secondo i piani non doveva essere lui il millesimo. L’esecuzione di un altro assassino, Robin Lovitt, era stata fissata tre giorni fa, ma proprio nel momento finale è arrivata la commutazione in ergastolo grazie a una serie di fattori che si sono combinati come una congiunzione astrale. Primo: a difendere Lovitt era subentrato un avvocato molto speciale, nientemeno che Kenneth Starr, quello che perseguì Bill Clinton per la storia di Monica Lewinsky; secondo: il materiale processuale che aveva portato alla condanna di Lovitt nel 1988 era stato – misteriosamente – distrutto, il che non consentiva una decente revisione; terzo: il governatore della Virginia che lo ha graziato, Mark Warner, è anch’esso alquanto speciale perché è «uscente» – il suo successore è stato già eletto e prenderà il suo posto a gennaio – e perché essendo uno dei candidati alla democratica per la corsa alla Casa Bianca del 2008 ha pensato che l’ombra della millesima condanna a morte eseguita «sotto i suoi occhi» non sarebbe stata una buona cosa. Che un’esecuzione venga percepita da un politico come un elemento negativo per la sua carriera è decisamente una novità. Come si spiega, visto che l’ultimo sondaggio di poco più di un mese fa indicava al 64 per cento gli americani ancora favorevoli alla pena di morte? «Fidatevi del suo fiuto», dicono quelli «vicini» a Warmer, spiegando che quel 64 per cento farà pure impressione ma denota comunque una «discesa» piuttosto rapida rispetto al quasi 80 per cento tradizionale. E poi, le considerazioni contro la pena di morte si vanno facendo sempre più stringenti e – stando a coloro che si battone per la sua abolizione – sono destinate a fare breccia più presto di quanto si pensi. Non tanto per ragioni ideali contro l’«assassinio di stato», quanto – pragmaticamente – per il fatto che il sistema attuale non garantisce che «si stia ammazzando la persona giusta». E qui gli argomenti sono tanti e forti. Di tutti i condannati a morte dal 1976 ad oggi, uno su otto è poi risultato innocente e la grandissima maggioranza dei condannati è fatta di poveri che non possono permettersi un avvocato (sono stati scoperti casi di avvocati d’ufficio che addirittura sonnecchiavano durante le udienze dei processi). Insomma c’è molta «casualità» nelle condanne e nelle esecuzioni e in qualche modo proprio la vicenda del millesimo «mancato» in Virginia, Robin Lovitt – che si è salvato grazie alle aspirazioni presidenziali del governatore – ne è una prova ulteriore.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *