ROMA«Mi manca l’Italia, la mia casa e i miei amici. Mi manca soprattutto la vita in Italia, che è molto diversa da quella di qui. Io non c’ero più abituato, non ero pronto a tornare». Adam parla al telefono da Abidjan, capitale della Costa d’Avorio, da dove era partito nel ’91 per venire a lavorare in Italia. Una storia di immigrazione «di successo», quella di Adam Kone, 36 anni: un contratto a tempo indeterminato in un’azienda metalmeccanica di Desana, in provincia di Vercelli, una casa in affitto e la prospettiva di acquistare un appartamento. Ma ad un certo punto la vita di Adam ha subìto un vero e proprio terremoto, e dall’agosto del 2004 si trova praticamente «imprigionato» nel proprio paese, senza la possibilità di rientrare in Italia. Per spiegare cosa gli è capitato Adam non trova altre parole che «un gran casino». In pratica è una delle tante «vittime» – impossibile sapere quante – del cosiddetto «rientro col cedolino». Da quando è entrata in vigore la legge Bossi-Fini, che ha accorciato il tempo di validità dei permessi di soggiorno, si è innescata una micidiale concatenazione, per cui le questure di tutta Italia sono intasate di pratiche da rinnovare e i tempi per ottenere un normale rinnovo del permesso di soggiorno si sono allungati a dismisura. Gli immigrati hanno protestato, organizzato scioperi della fame, incassando la solidarietà di forze politiche e istituzioni. Ma tutto è rimasto come prima e ancora oggi a Milano ci vuole un anno per vedere il proprio permesso rinnovato, a Napoli sei mesi. Nel frattempo un lavoratore straniero non può fare tante cose, tra cui uscire dall’Italia. Per cui niente vacanze all’estero, né la possibilità di andare a trovare la famiglia. Una situazione impossibile da sostenre, ma invece di fare in modo di accorciare i tempi il ministero dell’interno ha inventato il «rientro col cedolino». In prossimità delle feste (per questo Natale non ci sono ancora notizie), il Viminale emana una circolare con cui autorizza gli immigrati che vogliano allontanarsi dall’Italia a farlo con la ricevuta che certifica il rinnovo in corso del permesso di soggiorno. Un pezzo di carta che non ha alcuna validità legale se non per le autorità italiane, perciò ci sono delle regole da rispettare: bisogna uscire e rientrare dalla stessa frontiera, ed è vietato fare scali intermedi, visto che nessun altro paese, compresi quelli europei, saprebbe come interpretare quel foglietto.
Peccato che per diversi paesi nel mondo non esistano voli diretti dall’Italia. La Costa d’Avorio è uno di questi. Per andarci si possono scegliere diverse compagnie, ma tutte fanno almeno uno scalo. «Io l’ho detto alla questura, quando ho deciso di partire – spiega Adam al telefono – avevo anche portato il biglietto della Bruxelles Airlines che faceva scalo in Belgio, mi hanno detto di non preoccuparmi e io sono partito. Da tre anni non tornavo a casa, il mio permesso lo stavano rinnovando, e io avevo le ferie. Quando è uscita quella circolare ero proprio contento». Quindi, biglietto di andata e ritorno, valigie e regali, cedolino in tasca, e via verso Abidjan con la prospettiva di restarci un mese. è passato un anno e mezzo e Adam è ancora lì, sempre più deluso e depresso, perché proprio non riesce a capire come uscire da questa storia: «Quando alla fine della vacanza mi sono presentato all’aeroporto, con i bagagli e tutto, mi ha fermato la polizia di frontiera spiegando che con quel foglio non potevo entrare in Belgio. C’erano anche altri ragazzi con lo stesso problema, eravamo una decina. Abbiamo protestato, ma poi ci hanno detto di non preoccuparci e che l’ambasciata italiana avrebbe risolto il problema e ci avrebbe dato un visto di reingresso». Ma bussare alle porte dell’ambasciata è stato inutile: «Persino il mio datore di lavoro dall’Italia ha chiamato. Non c’è stato niente da fare, sembrano tutti sordi, non si muove niente». Nel frattempo la vita italiana di Adam si sta lentamente cancellando: «Due mesi fa ho parlato con il mio datore di lavoro, mi ha spiegato che ha dovuto licenziarmi, visto che ancora non torno. E i soldi della liquidazione, pure quelli, non è facile averli stando qui. La casa l’ho persa, e un po’ di tempo fa mi è arrivata una lettera dalla banca, dove c’è scritto che non potrò più chiedere un mutuo per non so quanto tempo». Adam chiede di tornare in Italia, «perché è come se fosse il mio paese». Ma la strada della cittadinanza, in Italia, è lunga e in salita.