Una giornata di mobilitazione internazionale per gridare al mondo la barbarie della pena di morte. Il 30 novembre saranno 320 le città – tra cui 30 capitali – che nei cinque continenti si stringeranno idealmente a Roma per sostenere il movimento di opinione che, negli ultimi anni, sta erodendo consensi a una pratica disumana e inutile anche come deterrente al crimine. è la quarta Giornata mondiale delle città contro la pena di morte, lanciata quattro anni fa dalla Comunità di Sant’Egidio che ha scelto come data la ricorrenza della prima abolizione della pena di morte dall’ordinamento di uno Stato europeo, il Granducato di Toscana, nel 1786. Incontri, manifestazioni e l’illuminazione di monumenti-simbolo uniranno le 320 «città per la vita». A Roma alle 18 all’Auditorium del Parco della Musica interverranno rappresentanti delle organizzazioni internazionali, ex condannati a morte, testimonial e personaggi dello spettacolo. La serata si concluderà con un concerto del cantante americano Michel Bublé. In Italia la giornata sarà preceduta, il 28 e il 29 novembre, dalla conferenza internazionale su Africa, pena di morte e diritti umani, che si svolgerà tra Roma e Firenze con la partecipazione di 14 ministri della Giustizia di altrettanti Paesi africani, tre dei quali già abolizionisti (Mozambico, Liberia e Senegal), mentre altri stanno discutendo la possibilità di una moratoria sulle esecuzioni. La conferenza, la prima a coinvolgere così tanti Paesi africani, si aprirà il 28 mattina all’Auditorium di Roma. Interverrà anche il cardinale Achille Silvestrini, poi tutti al Quirinale dal presidente Carlo Azeglio Ciampi. A oggi nel continente africano sono 13 i Paesi che hanno abolito la pena di morte. La mobilitazione della Comunità di Sant’Egidio è sostenuta dalle principali associazioni internazionali per i diritti umani, raccolte all’interno della World coalition against the death penalty (tra cui Amnesty international, Ensemble contre la peine de mort, International penal reform, Fiacat). E quest’anno la Giornata cade alla vigilia di date significative e drammatiche: a fine novembre è prevista in Virginia la millesima esecuzione capitale nella storia degli Usa, ai primi di dicembre l’esecuzione in California di Stanley Williams, candidato al Premio Nobel per la Pace dallo stesso presidente George Bush. Fondatore della famigerata gang giovanile dei Crips a Los Angeles, condannato per duplice omicidio, Williams si dichiara innocente e in questi 24 anni di carcere ha scritto libri e si è adoperato in ogni modo per convincere i giovani ad abbandonare le bande criminali. L’unica speranza è un’amnistia del governatore Arnold Schwarzenegger. Dice il portavoce della Comunità di Sant’Egidio Mario Marazziti: «La pena di morte è una grande sconfitta per la cultura della vita. Per secoli il mondo ha considerato normali e indispensabili la tortura e la schiavitù. Oggi – dice Marazziti – una parte del mondo concepisce anche la pena di morte come un pezzo di passato. Legittima al livello più alto, quello dello Stato, la cultura della morte, degrada la società che, uccidendo a freddo chi non può più nuocere, si mette allo stesso livello degli assassini. è immorale e inutile: le statistiche giudiziarie dicono che non serve a ridurre i reati gravi». Tra gli Stati che la mantengono ci sono Paesi come Cina, Usa, India, Giappone e molti Paesi arabi. E a proposito del processo in corso in Iraq, Sant’Egidio si augura che «Saddam, se riconosciuto colpevole, non sia giustiziato. Sarebbe un’ipocrisia istituzionale. E non aiuterebbe il processo di pacificazione. Oggi il mondo può aspirare alla giustizia senza complicità con la cultura della morte».
LUCA LIVERANI
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Che cosa conta davvero, quando si parla di pena di morte? Che a fine mese gli Usa porteranno a termine (in Virginia) la millesima esecuzione capitale o scoprire che finora 119 uomini e donne sono usciti dal braccio della morte perché riconosciuti innocenti all’ultimo momento? Che su 22mila omicidi commessi ogni anno negli Stati Uniti, "solo" 150 sono puniti con la pena capitale, una tragica lotteria in cui la gravità del crimine commesso o la legge che lo sanziona pesano più o meno, a seconda delle capacità e della fama dell’avvocato difensore?
Abbiamo fin qui citato statistiche relative agli Usa per un’evidente ragione: sono quelle più precise e più accessibili all’opinione pubblica. Si sa con certezza, per esempio, che laggiù nel 2004 le esecuzioni sono state 59 e che non hanno per nulla contribuito a migliorare le statistiche dell’ordine pubblico nel 2005. Ed è proprio questo il nocciolo del problema, almeno nei Paesi in cui la pena capitale non è usata come strumento di mera repressione politica: non v’è nulla di scientifico e nemmeno di razionale nella convinzione che applicarla sia di qualche utilità. è solo un riflesso primordiale, che si rivela tale anche dove si manifesta più forte. Per esempio nella Repubblica Ceca, dove in ottobre un sondaggio ha registrato che il 57% della popolazione è a favore del ripristino della pena capitale, abolita nel 1990. E se non è un riflesso primordiale voler tornare, in un Paese libero, ai sistemi usati dopo il 1945 da un regime comunista e oppressore (1.200 condanne eseguite in quegli anni), allora qualcuno ci spieghi di che si tratta.
Proprio per questo pare efficace, e in un certo senso astuta, l’iniziativa della Comunità di Sant’Egidio, che il 30 novembre mobiliterà i cittadini di 328 città (tra cui 30 capitali) e li metter&agr ave; in collegamento con Roma per dire no alla pena di morte e illuminare quegli angoli dove ancora si annida la sfiducia nella capacità di costruire regole più umane, più efficaci e soprattutto più certe per mettere ordine nella vita della società. è giusto che l’iniziativa parta dal basso, dai cittadini e dalle amministrazioni locali, perché solo questa spinta porta poi i Parlamenti e i governi centrali a decidere su una materia ancora così controversa.
Oggi sono 57 i Paesi che applicano la pena di morte (115, invece, quelli che l’hanno abolita) e nel solo 2004 almeno 5.523 persone sono salite sul patibolo. Il record è della Cina, con 5.000 esecuzioni (ma secondo alcune fonti, la cifra andrebbe raddoppiata); poi Iran (197), Vietnam (82), Corea del Nord (70), Usa (59), Uzbekistan (50), Arabia Saudita (38), Pakistan (29). Come si vede, con alcuni di questi Paesi il nostro mondo è spesso in polemica e a volte in aperto contrasto politico (Cina, Iran, Corea del Nord), ma gli altri sono nostri compagni d’affari o alleati nella lotta al terrorismo. Davvero non possiamo convincerli? La mobilitazione di Sant’Egidio può servire anche in casi come questi, con quei regimi che usano la pena capitale in modo non solo spietato ma anche ambiguo, un po’ contro il crimine e un po’ contro il dissenso. Nessuno, neppure la grande Cina, può adesso pensare di far parte a sé o di evitare il confronto con il pensiero degli altri; tutti vogliono un posto nelle grandi istituzioni internazionali, tutti hanno bisogno di partecipare ai flussi del commercio globale. Su questi snodi possono pesare, e molto, le 30 capitali e le 328 città di tutto il mondo convinte che la morte non è una risposta valida ai problemi della vita.
FULVIO SCAGLIONE