L’attrice incontra a Roma i suoi tre "figliocci" bielorussiDALLA RUSSIA CON AMORE: GRAZIE MAMMA CUCINOTTA

"Non ha prezzo il sorriso di un innocente", mormora Maria Grazia Cucinotta, gli occhi scuri che le scintillano compiaciuti mentre abbraccia i suoi tre figliocci Nikolai Petrov, Sasha Karalkov e Tamara Andreva, detta Toma, tre sedicenni arrivati con tanto amore e riconoscenza dalla lontana Bielorussia per conoscerla da vicino. Che ha fatto per loro da meritarsi tanto affetto la diva del che da anni, anche con l’Unicef, è attivissima nella solidarietà ?Senza troppi giri di parole, Maria Grazia, questi ragazzini, li ha salvati dal manicomio, l’istituzione cui questi tre biondi adolescenti, nel loro Paese diagnosticati come oligofrenici (cioè ritardati mentali) erano destinati. E da dove, con ogni probabilità , nessuno li avrebbe mai più potuti fare uscire. Anche Nikolai, Sasha e Tamara, come altri trentamila, sarebbero andati a ingrossare le tristi file dei tanti "orfani sociali" della Bielorussia, bambini abbandonati dai genitori (tutti poverissimi o in prigione) in tenera età , che crescono senza alcuna assistenza in speciali internati per l’infanzia e poi, una volta più grandi, vengono affidati alla strada o, nei casi più problematici (è il caso dei nostri tre), a veri e propri lager psichiatrici. E invece avranno un "guscio" tutto per loro i "figliocci" di Maria Grazia, che grazie al calore di un nuovo ambiente amico riprenderanno fiducia in se stessi prima di essere, ce lo auguriamo, reinseriti nella società ."Si chiama , la casa-famiglia "delle arti e dei mestieri" che accoglierà  i miei ragazzi a Begoml, un villaggio di poche anime a cento chilometri da Minsk, la capitale bielorussa", spiega la Cucinotta, da tre anni mamma dell’adorata Giulia, l’unica figlia che tiene gelosamente lontana dai rotocalchi. "Ma non voglio prendermi meriti che ho solo in parte", riprende. " (dedicata al burattino simbolo della ribellione e del disagio) deve la vita a un’idea dei volontari esperti di disabilità  del , un gruppo di generosi nato a Roma tredici anni fa, per aiutare chi ha gravi difficoltà  psicofisiche e presieduto da Gaia Carletti."Un ringraziamento particolare va poi a Maria Pia Ruffilli, la presidentessa della Fondazione benefica Pfizer che su mio "suggerimento" (diciamo che per mesi e mesi l’ho tampinata giorno e notte!), ha stanziato i trentamila euro per costruire quella baita di legno tra i boschi dell’ex Repubblica sovietica. Lì, insieme con i miei figliocci Nikolai, Sasha e Tamara, tanti giovani come loro avranno la possibilità  di non sentirsi più soli. Vinceranno, prima di tutto, lo stress da isolamento che li accompagna da che sono al mondo e impareranno a lavorare in èquipe in particolari laboratori artigianali dove produrranno oggetti di legno intagliato, dipinti a mano, cuciti o ricamati."Reciteranno, canteranno, balleranno in un teatrino dove la loro diversità  emergerà  come una caratteristica positiva e non come qualcosa di vergognoso da evitare. Grazie ai benefici effetti dell’arteterapia, un giorno saranno anche in grado di lavorare in un Internet-point allestito fuori da , o in una speciale serra per fiori e ortaggi ancora in fase di edificazione. Tutte queste cose le ho imparate da quelli del (il 2 dicembre, in Campidoglio, presenteranno ufficialmente il loro progetto davanti al sindaco Walter Veltroni), persone straordinarie con cui mi sono messa in contatto tramite il mio amico Giancarlo Fratocchi, un loro volontario. "Un giorno, sconvolgendomi, mi racconta di quei ragazzini poveri della Bielorussia, che ogni anno grazie a quelli del suo gruppo vengono in Italia per una vacanza terapeutica. Già : dopo la terribile catastrofe nucleare di Chernobyl, in Ucraina, diciotto anni fa, anche molti paesini della confinante Bielorussia sono stati evacuati a causa delle anomale radiazioni provenienti dalla Repubblica vicina. In quelle zone, per gli effetti di quell’incredibile disastro atomico, molti giovani muoiono ancora adesso per tumori alla tiroide e leucemia. Proprio a scopo di prevenzione sanitaria, quelli del , da anni, li accolgono periodicamente nelle loro case italiane. Sembra che, per scongiurare quel loro tipo di malattie, niente sia più benefico della nostra semplice dieta mediterranea. Ben presto, però, i miei amici si sono resi conto che nell’ex Russia Bianca gli abbandoni e i maltrattamenti dei minori fanno più morti perfino del cancro."Così hanno deciso di dedicarsi agli ultimi tra gli ultimi di quei giovani senza famiglia che nell’ex Repubblica sovietica vegetano in ottantanove tristi internati per l’infanzia. Ragazzi pieni di problemi, ma vitali, come i miei Nikolai, Sasha e Tamara, i nostri affettuosi amici che nel frattempo avevamo conosciuto, se pure solo a distanza. Il mio amico Giancarlo si rese conto che, con il compimento del sedicesimo anno di età , questi adolescenti, come d’abitudine da quelle parti, sarebbero stati costretti a lasciare l’orfanotrofio per un manicomio bielorusso. Si ribellò all’idea di saperli per sempre seppelliti nei lettini di quelle buie corsie infernali, che avrebbero condiviso con epilettici, schizofrenici, ragazzi Down e focomelici. Coi suoi amici, decise che avrebbe trovato il sistema di aggirare la diffidente burocrazia di quel Paese dell’Europa orientale, che agli stranieri impedisce qualsiasi tipo di iniziativa sul posto."I nostri amici slavi ( www.ilcavallobianco.it, ndr) sono ragazzi spesso disorientati, spauriti, ma dall’animo puro e sincero. Io mi trovo meglio con loro che con tante persone incontrate, per esempio, in occasioni mondane, dove spesso mi sento goffa e impacciata. Vengo da una modesta famiglia di Messina: i valori genuini della vita non li ho dimenticati. Lo stesso vale per i miei sogni". Alla parola sogni, Nikolai (che capisce benissimo l’italiano) si avvicina. "Io un sogno ce l’avrei", mi fa, fissandomi, "mi piacciono i piccioni e le galline. Ma le mie preferite sono le api. Quando va via la neve, in estate, le abbiamo anche nelle nostre campagne. Da grande vorrei fare l’apicoltore, comprarmi un po’ di arnie e fare buon miele per tutti. Io non lo so davvero chi è mio padre. E non so nemmeno come si chiama la mia mamma, che mi ha lasciato all’internato quando avevo appena cinque anni, prima di andarsene in prigione"."Il mio papà  si chiamava Edick e la mia mamma lavorava in un asilo, tanti anni fa", ricorda il timidissimo Sasha, tradotto dall’amico. "No, non credo che li vedrò mai più i miei genitori, e non li andrò a cercare. Vorrei fare il pittore, dipingere i boschi di betulle che ci sono vicino a Begoml, il mio villaggio. Però il sogno più bello è quello di Toma: fattelo dire". Ed ecco Tamara detta Toma, con i suoi "spazzolini" biondi e i modi ammiccanti. "Io farò la hostess su un aeroplano", si entusiasma, "senza l’aereo non avrei mai visto Roma, l’Italia, il mare blu di Ostia e il mondo. Non avrei lasciato l’istituto e conosciuto la mia amica Maria Grazia". La Cucinotta ha sentito le parole di Toma e si gira di scatto, contenta. Ha ragione, la diva del : niente vale il sorriso di un’innocente.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *