Un gruppo di cinque persone sono sedute su un bellissimo pavimento in parquet, al centro di una palestra a forma circolare. Tutto intorno la palestra è circondata, per circa metà della sua circonferenza, da enormi finestroni che arrivano fino a terra, attraverso i quali filtra la luce del sole, illuminandone tutto lo spazio. All’interno di questo spazio dorato, alcuni ragazzi e adulti si incontrano periodicamente, sostenuti dalla presenza di uno psicologo. Queste sono le prime immagini del cortometraggio che ho avuto occasione di vedere recentemente. Sono rimasto particolarmente toccato dal lavoro del regista Umberto Lucarelli, che a mio modesto parere, riesce a mostrare realtà di vita particolari, in un modo molto delicato e intenso allo stesso tempo. Egli non racconta, ma ritrae il mondo interno di ogni protagonista con molta delicatezza.
Malgrado la limitatezza dei mezzi tecnici di realizzazione, il linguaggio visivo della telecamera assume il ruolo preciso e attento di uno sguardo che si avvicina gradualmente al mondo che ogni protagonista porta dentro di sè, e si rende partecipe dei loro vissuto. La cinepresa diventa essa stessa lo sguardo interno delle persone, assumendo il ruolo di un occhio attento che accarezza le verità più intime e nascoste di ognuno dei protagonisti, riuscendo a far giungere allo spettatore il soffio della loro anima. Ogni sguardo, ogni gesto, ogni inflessione di voce o movimento corporeo, diventano la narrazione emotiva di ognuno di loro, restituendo ai protagonisti un’immagine naturale e spontanea.
Giorgio, il protagonista, responsabile del gruppo di ragazzi con i quali si incontra all’interno della palestra, si scontra nella difficoltosa relazione con Sonia, una bambina che non vuole parlare per paura di perdere la voce, e quindi non riesce a esprimere i suoi sentimenti nel modo come forse si aspetterebbe Giorgio, e pertanto, quest’ultimo non riesce a contattare le paure della bambina. Egli è una persona che fa il suo mestiere con criterio e coscienza, e crede di poter migliorare le condizioni dei ragazzi, convinto di cambiare qualcosa in loro, senza però tenere conto dei suoi sentimenti personali, quindi senza mettersi in gioco. In questo modo si viene a creare un sottile divario tra lui e i ragazzi. I loro rapporti, infatti, si basano tra chi conduce gli incontri, vale a dire Giorgio, e chi invece esegue le sue proposte : quando fa delle domande ai componenti del gruppo, questi rispondono solamente spinti dalla necessità di esaudire le sue aspettative. In questo modo la loro relazione appare impoverita.
All’interno del gruppo la bambina, di nome Sonia, tende ad isolarsi ascoltando la musica con le cuffie, mantenendo un silenzio sconcertante, attraverso il quale mette inconsapevolmente in discussione il ruolo e l’atteggiamento scientifico dello psicologo. Questo silenzio così ostinato, in realtà è ricco di contenuti e forse di denuncia. Esso traduce il rischio che esiste ogni qualvolta le parole sono espresse con un doppio significato, cioè quando i contenuti dettati dalla mente non coincidono con i contenuti espressi dal cuore. In questo modo le parole possono ferire la sincerità dell’anima. Sonia infatti esprime questo disagio attraverso il suo corpo, e, allo stesso tempo, lo esprime a nome di tutto il gruppo.
Umberto Galimberti in un articolo apparso su Repubblica nel gennaio 2001, ha scritto :
Grazie a Sonia Giorgio avverte le difficoltà , ma non si accorge della sua stessa difficoltà a relazionarsi con "l’altro" fino a quando non si innamora di una donna, una parrucchiera che porta lo stesso nome della bambina. Egli si accorge di non essere capace di esprimere i sentimenti che nutre per lei. è capace di farsi acconciare i capelli come mai avrebbe pensato di farlo in vita sua, pur di rimanere il più a lungo possibile nel negozio per poter guardare la donna, senza riuscire a entrare in relazione neanche quando lei gli fa delle domande, così come accadeva la stessa cosa quando Giorgio faceva delle domande alla bambina.
Tutto cambia nel momento in cui Sonia, la bambina, porge un’audiocassetta a Giorgio per fargli ascoltare le sue parole sussurrate per paura che la sua voce possa svanire nel nulla e non torni mai più. La paura di Sonia ha lo stesso sapore di quella di Giorgio che non riesce a proferire parole appassionate nei confronti della donna per paura di essere rifiutato, cioè per paura di perdere per sempre il suo sogno. Sono proprio quelle parole che non riesce a dire, e che forse non ha mai detto, che gli impediscono di entrare in relazione con i ragazzi e con la parrucchiera. Giorgio ha paura di lasciarsi andare per seguire il libero impulso dei propri sentimenti vitali. Questo non significa che non sia sensibile, ma le sue rigidità hanno preso le sembianze di una maschera che ha i colori dell’orgoglio, e non riesce ad andare oltre quello sguardo miope nascosto dietro il suo ruolo professionale scientifico di psicologo.
Giorgio nel momento in cui riesce a contattare le sue sensazioni emotive e corporee, grazie a Sonia, la donna, e a Sonia, la bambina, si mette in gioco interamente e ritrova tutto se stesso, il suo corpo, le sue emozioni, le sue idee, la sua persona. A questo punto è possibile per lui entrare in relazione con la realtà esterna, non più solo attraverso la mente, ma anche attraverso il suo corpo e il suo cuore. Tutto ciò gli permette di vedere i ragazzi non più come pazienti, ma prima di tutto come "persone". Nel momento in cui contatta le sue emozioni profonde e il sentimento di sofferenza, il suo orgoglio di psicologo superparte, responsabile della vita di altre persone, viene meno.
Sono rimasto molto colpito da questo film, perché all’interno della storia viene mostrato come sia possibile cambiare se stessi, dinanzi a un evento che tocca profondamente il protagonista. Un cambiamento interiore è sempre un atto coraggioso e difficile. Chi ha vissuto un’esperienza simile sa quanto sia destabilizzante mettere in discussione tutte le proprie certezze qualunque esse siano. Ma sa anche quanto sia gratificante ritrovare se stessi e sentirsi avvolti dall’esistenza altrui e sentire che il proprio cuore batte insieme a quello di altre persone.
Vorrei concludere proponendovi le parole significative di Umberto Galimberti
scritte nel medesimo articolo sopra citato:
(Repubblica, 11 gennaio 2001)
Roma, 29 novembre 2004
Marco Cali