So che la vita
è una canzone,
quando canto
con tutta me stessa.
Mentre canto
non con le labbra,
bensì con il sole
nell’anima
ed il cuore
in perfetta armonia
ed in soave letizia.
Non voglio mollare
la mia piccozza.
Non desidero cessare
la mia salita
sulla più alta vetta.
Non amo arrendermi
alle avversità
del mio destino.
Non voglio
che l’uomo normodotato
violi le mie volontà.
Sono contro
all’essere usata da cavia
dai medici.
Voglio vivere
Serena!
Desidero poetare
libera e col sole nel cuore,
nonostante il mio inesorabile morbo.
Voglio ammirare,
cantando allegramente,
gli infiniti orizzonti
e le intramontabili aurore
infuocate d’amore.
Il mio premio
non è stato
il trionfo
d’una mia poesia,
ma la forza
di convivere
con la mia inabilità.
Oggi, il cielo
non ha la luce solare,
è coperto di nubi
ed è malinconico,
similmente al cuore umano
privo d’amore:
privo di tutto.
Ultima foglia
distaccata
al ramo più alto
e destinata
a non essere arsa
dal fuoco.
Vola libera e lontana
al vento autunnale.
Sorvola
la valle,
il piano,
il monte,
l’oceano,
ascoltando e raccogliendo
ogni sospiro del mondo.
Io scommetto,
che tra tutti i sospiri,
percepisce e ruba
anche i miei!
Vedi, è novembre,
ed il verde del prato
si spegne
sempre maggiormente
ed assume
un colore triste e stanco.
Forse, vorrà vestirsi
in lutto
per commemorare
i cuori
che sfiorano
le radici dei cipressi?
Vorrei scordare
la mia lontana infanzia,
il mio non dolce passato;
ma la mia ferrea memoria
m’induce ognora
rievocare
tutti i ricordi
del tempo che fu.
E m’impaurisce
il futuro.
Tu, fratello
d’un mio giovane amico medico,
moristi, solitario,
in mezzo alle tue montagne,
per le tue amate montagne,
precipitando a valle.
Ma non le abbandonasti mai!
Proseguirai, tuttora,
in metafisico aspetto
a scalare le tue adorate vette,
dedicando a loro,
con la tua inseparabile piccozza,
le più belle poesie
ed ogni giorno vedrai,
ne sono certa,
splendide ed intramontabili aurore.