Va bene le differenze, ma i diritti umani sono universali
G.R.
Le dimensioni culturali dello sviluppo umano richiedono una particolare attenzione per tre motivi. In primo luogo, la libertà culturale è un aspetto importante della libertà umana, fondamentale per la capacità delle persone di vivere come vorrebbero e di avere la possibilità di scegliere tra le varie opzioni che hanno – o che potrebbero avere. Il progresso della libertà culturale deve diventare un aspetto fondamentale dello sviluppo umano, ed esso richiede a tutti noi di andare oltre le opportunità sociali, politiche ed economiche, visto che queste da sole non garantiscono la libertà culturale.
In secondo luogo, sebbene nel corso degli ultimi anni ci siano stati molti dibattiti sulla cultura e la civiltà, ci sì è concentrati più sul riconoscimento – addirittura la celebrazione – del conservatorismo culturale che non sulla libertà culturale. La prospettiva sullo sviluppo umano offre alcuni chiarimenti riguardo l’importanza della libertà umana nelle sfere culturali. Piuttosto che esaltare un’accettazione irragionevole delle tradizioni avute in eredità, o mettere in guardia il mondo sulla presunta inevitabilità degli scontri tra civiltà, tale prospettiva pone al centro dell?attenzione l’importanza delle libertà nella sfera culturale (e in altre sfere), e i modi per difendere e ampliare le libertà culturali di cui le persone possono godere. L’aspetto fondamentale non è solamente il significato della cultura tradizionale – è l’importanza di gran lunga maggiore delle scelte e delle libertà culturali.
In terzo luogo, la libertà culturale è importante anche nei successi e nei fallimenti sociali, politici ed economici. I diversi aspetti della vita umana hanno forti interrelazioni. Persino la povertà, un concetto economico fondamentale, non può essere compresa senza introdurre considerazioni di tipo culturale. Infatti, lo stretto legame esistente tra la privazione culturale e la povertà economica è stato rilevato niente di meno che da Adam Smith. I suoi lavori hanno chiarito in modo preciso la rilevanza dello sviluppo umano.
Smith ha dimostrato che la povertà non si identifica solamente con la fame, e le privazioni fisiche: essa può presentarsi sotto forma difficoltà sperimentate da alcuni gruppi nel prendere parte alla vita sociale e culturale della comunità. In particolar modo, l’analisi della povertà e la diagnosi su quali generi di prima necessità dovrebbero essere considerati «il necessario» non possono non tener conto (lo ha dimostrato Smith) delle esigenze della cultura locale. Ha scritto Smith: «Per «il "necessario" intendo non soltanto i generi di prima necessità che sono indispensabili per vivere, ma anche qualunque cosa l’usanza del paese richieda a una persona, anche della classe sociale più bassa, per essere considerata dignitosa e non apparire quindi indecorosa. L’usanza ha reso le scarpe in pelle un elemento essenziale della vita in Inghilterra. Anche la persona dignitosa più povera, di entrambi i sessi, si vergognerebbe ad apparire in pubblico senza di esse».
La cultura crea, infatti, un importante legame tra i redditi relativi e le capacità umane assolute. La privazione, che risulta relativa in proporzione ai redditi nella comunità locale, può portare a una privazione sociale assoluta. Per esempio, avere un reddito relativamente basso in una società ricca può generare una povertà assoluta a causa dell’impossibilità di permettersi i generi di prima necessità richiesti dallo stile di vita di quella società. E questo anche se la persona in questione dispone di un reddito più alto della maggior parte delle persone nei paesi più poveri del mondo. Il concetto di povertà economica richiede quindi un’analisi culturale. Nel dare l’adeguato riconoscimento alla libertà culturale e alle influenze culturali nello sviluppo umano, dobbiamo prestare attenzione all’influenza che le culture affermate hanno sulle nostre vite, e all’importanza delle relazioni tra gli aspetti culturali della vita umana egli altri aspetti. La privazione della libertà, inclusa quella culturale, assume varie forme. (…) Spesso la privazione opera attraverso processi di esclusione. Recentemente il fenomeno dell’esclusione culturale ha ricevuto un?attenzione notevole. Si deve però fare una netta distinzione tra due sue forme.
In primo luogo, l’esclusione culturale di una persona o di un gruppo può identificarsi con l’impedimento per questa persona o gruppo a prendere parte alla vita sociale nel modo in cui ad altri viene invece permesso e consigliato di fare. Questo fenomeno lo chiamiamo «esclusione dalla partecipazione». In molti casi di esclusione dalla partecipazione (che è la base fondamentale della discriminazione) è l’affiliazione culturale delle persone coinvolte, che porta alla loro esclusione dalla partecipazione nell’istruzione o nell’impiego o nelle decisioni politiche. Gli argomenti utilizzati per giustificare una tale esclusione tendono a chiamare in causa presunte peculiarità culturali dei gruppi coinvolti. Cosi, determinati gruppi etnici vengono dipinti come fannulloni, attaccabrighe o irresponsabili. Si dice che la fedeltà degli appartenenti alle religioni di minoranza alle autorità religiose (particolari) sia in conflitto con quella verso lo Stato. Sebbene queste peculiarità culturali si rivelino spesso false, esse spianano la strada alla discriminazione e all’esclusione. In alcuni casi le caratteristiche identificative utilizzate in politica discriminatoria chiamano direttamente in causa i tratti culturali: gruppi determinati in base al linguaggio, all’origine sociale o ad altre caratteristiche.
Un secondo tipo di esclusione culturale nega il riconoscimento di uno stile di vita che un gruppo sceglie di adottare. E questo genere di intolleranza talvolta si accompagna all’insistenza sul fatto che, nella società, ogni singola persona deve vivere come gli altri. Questa «esclusione basata sul modello di vita» risulta evidente soprattutto nell’intolleranza religiosa: un’importante sfida lanciata da John Stuart Mill nel suo famoso saggio, "Sulle libertà" (1859). Ovviamente, l’intolleranza religiosa rappresenta tuttora un importante tipo di esclusione. Un altro esempio è l’intolleranza verso modelli di comportamento che riguardano le scelte personali: il trattamento discriminatorio di cui sono vittime i gay e le lesbiche è un aspetto frequente dell’esclusione basata sul modello di vita. Queste esclusioni comportano una violazione della libertà culturale, ma anche una negazione della diversità.
Questo genere di esclusione può rappresentare un problema grave nelle società multiculturali con diversità etniche, in particolar modo quando si tratta di discriminazione ai danni delle popolazioni immigrate recentemente. Nel mondo contemporaneo, un genere abituale di intolleranza nei confronti di uno stile di vita è l’insistenza perché gli immigrati abbandonino le loro abitudini tradizionali e adottino lo stile di vita dominante nella società in cui si sono trasferiti. La richiesta può estendersi persino ad atteggiamenti comportamentali circa la condotta degli immigrati. è diventato famoso in Gran Bretagna il celebre «test sul cricket» di Lord Tebbit (un immigrato legittimo deve tifare per l’Inghilterra negli incontri internazionali contro la squadra del suo paese di origine). Il test di Tebbit ha il merito di essere preciso ai fini di riuscire ad identificare quale sia lo stile di vita dominante. Per esempio, ora che il curry è stato descritto dal ministero del Turismo britannico come «autentico cibo britannico» (in linea con i modelli di consumo predominanti dei nativi dell?isola), un immigrato in Gran Bretagna dall’Asia meridionale, senza l’aiuto dell’algoritmo di Tebbit, potrebbe incontrare difficoltà nel determinare quale sia il modello di comportamento che gli o le viene chiesto di seguire. (…)
La diversità culturale può di per sé rivestire un ruolo positivo. Una società differenziata dal punto di vista culturale può apportare benefici ad altre società grazie all’insieme di esperienze che ha la possibilità di maturare. Un esempio: la ricca tradizione della musica afroamericana – con la sua origine africana e l’evoluzione americana – non solo ha favorito il miglioramento della libertà culturale e dell?autostima degli afroamericani, ma anche ampliato le scelte culturali di tutte le persone (afroamericani e non) arricchendo il panorama culturale dell’America e del mondo. Tuttavia, il legame esistente tra libertà culturale e diversità culturale richiede di essere analizzato ulteriormente. (…)
L’insistenza sul conservatorismo culturale (dei nuovi immigrati ad esempio n.d.r.) può scoraggiare – o ostacolare – le persone dall’adottare uno stile di vita diverso, o addirittura dall’abbracciare lo stile di vita che altri individui, con un diverso bagaglio culturale, seguono normalmente nella società in questione. La diversità verrà quindi raggiunta al prezzo della libertà culturale. Se in definitiva l’importante è la libertà culturale, allora la valutazione della diversità culturale dovrebbe assumere una forma condizionale. Molto dipenderà da come si arriverà a determinare e a sostenere tale diversità. (…)
Inequivocabilmente, ogni individuo può identificarsi con molti gruppi diversi. Una persona può avere un’identità di cittadinanza (per esempio, essere francese), di genere (essere una donna), di razza (avere origini cinesi), di discendenza regionale (provenire dalla Thailandia), di linguaggio (parlare correntemente il thailandese, il cinese e l’inglese, oltre al francese), politica (avere idee di sinistra), religiosa (essere un buddista), professionale (essere avvocato), di domicilio (essere residente a Parigi), di affiliazione sportiva (essere fanatico di golf), di gusti musicali (amare il jazz e l’hip-hop), di preferenza letteraria (apprezzare i racconti polizieschi), di abitudini alimentari (essere vegetariano) e così via. Le scelte non sono illimitate (non potete scegliere l’identità, per esempio, di un inuit o di un lottatore di sumo se non lo siete). Ma all’interno della gamma di appartenenze che si hanno realmente, si può scegliere che genere di priorità dare a un’appartenenza o a un’altra, in un particolare contesto. (…)
Infine, esiste un legame tra il fanatismo culturale e la tirannia politica. Quando l’asimmetria di potere tra chi governa e chi è governato si unisce ai pregiudizi culturali, si finisce con il fallimento di ogni tentativo di governance. Lo si è visto, in maniera sconvolgente, durante le carestie irlandesi degli anni ?40 del XIX secolo. In Inghilterra la povertà irlandese veniva vista come conseguenza della pigrizia, dell?indifferenza e dell’inettitudine degli abitanti, ed è per questo che non si considerava «la missione britannica» un modo per «alleviare le sofferenze irlandesi bensì un mezzo per civilizzare la sua popolazione e per portare le persone a pensare e comportarsi come essere umani». Il pregiudizio culturale è stato utilizzato in maniera simile per scopi politici nella storia degli imperi europei in Asia e in Africa. La celebre osservazione di Churchill secondo cui le carestie bengalesi del 1943 furono causate dalla propensione delle persone del luogo ad «accoppiarsi come conigli» appartiene a questa tradizione. Le critiche culturali nei confronti delle vittime possono essere utilizzate dai governanti per giustificare tirannie inefficienti e ingiuste.
La creazione di società umane ed eque necessita dunque di un adeguato riconoscimento dell’importanza delle libertà, che includono la libertà culturale. Ciò richiede che vengano salvaguardate e ampliate le opportunità che le persone hanno di scegliere in che modo vorrebbero vivere, e di prendere in considerazione stili di vita alternativi. Le considerazioni di tipo culturale possono assumere un ruolo determinante in queste scelte.
Enfatizzare la libertà culturale non significa tuttavia arrivare a fare di tutto per la diversità culturale. In questo contesto è fondamentale la domanda: «È negativo per le donne il multiculturalismo?». Tale questione si riallaccia al fatto che il perdurare di molte delle pratiche di una società tradizionale dominata dall’uomo possa andare contro gli interessi della donne. Casi estremi di questo tipo di conflitto possono comportare pratiche (come le mutilazioni corporali) autorizzate da. leggi di alcune culture dominanti. A difesa di tali pratiche si tende a far notare che sono le donne stesse ad accettare queste leggi culturali senza protestare. Ma nel mondo sono molte le ingiustizie che continuano a sopravvivere e a prosperare, rendendo le vittime complici, negando loro l?opportunità di prendere in considerazione delle alternative, e ostacolando la conoscenza di altre pratiche in altre comunità. è quindi particolarmente importante non appoggiare le scelte tradizionaliste, senza un esame critico, esame che è parte dell’esercizio della libertà culturale. è necessario chiedersi se i perdenti nella società – in questo caso le donne – abbiano avuto la possibilità di prendere in considerazione delle alternative, e se abbiano la libertà di sapere in che modo vivono le persone nel resto del mondo. La necessità di ragionamento e di libertà è al centro della prospettiva utilizzata fin qui.