Senza titolo

Leggo sulla stampa che Saddam Hussein sta per essere consegnato al nuovo (si fa per dire) governo iracheno di Baghdad. Si aggiunge che quel tiranno sanguinario sarà presto messo sotto processo. Ne ha molti di delitti sulla coscienza: ha aggredito l’Iran e invaso il Kuwait, ha oppresso il suo popolo, e – lo volesse o no – ha dato motivo di intervento agli apologeti americani della «guerra preventiva». Ancora adesso lo sventurato Iraq vive la doppia tragedia di un aggressione straniera e di una rivolta sanguinaria e ambigua. Dunque, è giusto che il tiranno responsabile di questi disastri venga messo sotto giudizio, e paghi per tutte le sue colpe.

Ma i giornali aggiungono una notizia: prospettano la probabilità che Saddam venga condannato a morte. E qui provo sconcerto e scoraggiamento. Saddam mi ripugna. Ha seminato lutti e oppressione. Venga dunque la dura punizione.

Ma mi spaventa che in questa tragedia irachena, già traboccante di sangue e di rovine, non si sappia concepire altra sanzione per il tiranno che non sia ancora e sempre la morte; più precisamente: l’assassinio di un essere umano che è già in catene, in ginocchio e serrato duramente in un carcere.

E dunque risorga ancora – anche in questa vicenda – l’eterna necessità dell’uccidere, di spezzare con la forza la vita di esseri umani; e alzare in alto il nero gonfalone della morte: quasi non ce ne fossero già abbastanza di morti in quegli spazi desolati dell’Iraq.

E perché non dirlo? Temo molto che – ammazzato – Saddam possa diventare un simbolo per qualche brandello di quel popolo assoggettato e in frantumi, che vive un’ora così tragica; e cerca, sinora vanamente, drammaticamente una qualche strada non dico di libertà, ma di autonomia.

E infine: possibile che tuttora all’inizio del terzo millennio, questi umani viventi – dopo secoli e secoli di esperienza – abbiano sempre, fissa nella carne, questa oscura ostinata inclinazione all’uccidere? E non sappiano trovare altri strumenti per tenere ordine nelle nazioni. Anche quando il colpevole sia ridotto in ginocchio nella oscura cella di un carcere.

E mi chiedo: chi dice, chi vi assicura che questo eterno uccidere – anche quando esso appare clamorosamente superfluo – aiuti, e davvero educhi a far vivere l’ordine nella Città?

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