GENIALE, segreto, sorprendente. La sua faccia tremenda lo aiuta. Gli consente di fare il pazzo fra i pazzi nel suo Teatro Patologico, ora beccaio che squarta buoi e vitelli in una macelleria del centro di Roma, ora carnefice di uomini e animali nel vecchio mattatoio di Testaccio, tra fiumi di sangue animale maleodorante, catene, uncini da inferno del cuore e della mente. A New York, dove si è esibito al Cafè La Mama, il teatrino di Ellen Stewart, impazziscono per lui. E il , che non è propriamente un giornaletto, o la rivista gli dedicano pezzi in prima pagina e copertine. Dario D’Ambrosi (Milano, 1945, creatore, regista, attore, manager, interista integrale e grande amico della famiglia Moratti) ha catturato nelle sue spire "inferme" persino Mel Gibson. Il divo australiano gli ha affidato la parte del flagellatore di Cristo nel chiacchieratissimo : sedici minuti di esibizione sadica, scioccante, durante i quali Dario si accanisce sul corpo di Gesù. Come si sa , che le comunità ebraiche statunitensi hanno contestato perché rispolvererebbe il fantasma di Israele carnefice del Messia, mostra in modo cruento ed estremamente realistico tutte le sofferenze della Passione. "Ho incontrato Gibson racconta Dario su chiamata di Scilla Ruben, che si occupava del casting. Mi sono sorpreso che lui già sapesse tutto di me, del mio rapporto con il Cafè La Mama, dei film che ho fatto… Adora Greta Scacchi, la protagonista del , la mia opera prima, ed è rimasto affascinato dal rapporto che ci lega. Aveva programmato per il flagellatore, in , undici pose. Dopo avermi visto lavorare, ha ampliato l’impegno fino a venti". Giura che il periodo mistico di Gibson è assolutamente autentico: "Mi ha raccontato di voler consacrare parte della sua vita e del suo lavoro al ringraziamento di Cristo, che lo ha aiutato ad uscire dall’alcolismo. Non si può non credergli. Per ha fatto cose incredibili, ha addobbato una piccola chiesa, ad esempio, vicino al set e voleva che tutti assistessimo alla Messa prima di girare. Messa in latino, naturalmente, che è quella che lui conosce. Mi ha spiegato che il mostrare con tanta crudezza le sofferenze di Gesù risponde a un’unica esigenza interiore: dare alla gente la certezza che nulla è più forte dello spirito, e che la carne, sia pure martoriata e macellata oltre ogni sopportazione, non doma uno spirito eletto". Morbosamente attraenti i particolari del trucco di James Caviezel, l’attore che impersona Gesù: "Ore e ore per farsi applicare addosso i brandelli di carne e di pelle che gli sarebbero poi stati strappati dalla frusta… Me li vedevo cadere addosso mentre tenevo lo scudiscio, assieme ai litri di sangue di cui lo stesso Gibson ci inondava con una piccola pompa, accucciato sotto di noi… A un certo punto l’odore del sangue, la "verità " della scena, ci prendevano a tal punto che andavamo sopra le righe, come in estasi… Caviezel rimaneva in trance per ore, se lo salutavi, alzava la mano e ti benediceva… Un giorno, girando, era tale la forza con la quale menavo la frusta che scansai il palo di ferro sul quale si abbatteva, proteggendo l’attore, e presi lui in pieno. Istintivamente mi protesi, preoccupato di averlo ferito. Non fece una piega, alzò solo lo sguardo, scuotendo la testa per significare: niente, non fa niente, vai avanti". E ancora: "Ho usato molti tipi di frusta, da quella a code sottili fino a un’arma tremenda, di catene pesanti con al fondo stelle di ferro con lunghe punte. Dopo ore di lavoro, la spalla del braccio con il quale picchiavo mi faceva male. Gibson si preoccupava subito, mi forniva una crema antidolorifica per alleviarmi il fastidio… C’era, sul set, una strana atmosfera fra il cameratesco e l’ossessivo, certo derivata dalla messinscena di un corpo che si spappola sotto gli occhi di tutti… Un momento tremendo l’ho creato addirittura io. Dovevo massacrare il Cristo con la frusta grossa e Gibson ordinò, prima di girare, una prova. Ero così dentro la parte, che prima di avventarmi contro Gesù ho provato il flagello sul tavolo dello scriba deputato ad annotare le frustate, una dopo l’altra. Urlai , facendo il gesto volgare di chi si indica per sfregio fra le gambe… Gibson mi fece chiamare, disse che dovevo inserire nella parte quella digressione pazzesca. Se non è stata tagliata per ragioni di censura, c’è tutta: il gestaccio, il grido perché la lingua del film, lo sapete, – latino e aramaico, con sottotitoli…-. Dario D’Ambrosi, ovvero la ferocia a fini terapeutici: "Sì. Anche dopo il percorso di , mi sono ridetto che la violenza recitata sublima la violenza vera. Io, la sera, tornavo a casa che puzzavo ancora di sangue, nonostante la doccia. Le mie figlie non riuscivano ad avvicinarsi. Andavo a dormire e pensavo: non farei mai del male a nessuno…".