Con l’entrata a maggio dei nuovi 10 Paesi membri dell’Unione, si apre ufficialmente un periodo in cui la legislazione europea subirà notevoli cambiamenti legislativi.
Positivi certamente, ma anche burocraticamente dubbiosi.
Uno di questi riguarda i lavoratori dei nuovi dieci partner: dal primo maggio dovrebbero teoricamente godere dei medesimi diritti degli altri cittadini europei, compreso quello di stabilirsi in altri paesi membri, in pratica dovranno invece attendere alcuni anni prima di poter godere del diritto di muoversi liberamente all’interno del Vecchio continente.
Questo perché?
Numerosi governi stanno decidendo di approfittare del diritto, previsto dal trattato di adesione, a limitare l’ingresso nel proprio mercato del lavoro dei cittadini dei ‘paesi entranti’, introducendo "periodi transitori" che possono arrivare fino ad un massimo di sette anni.
Germania e Austria per esempio, hanno fin da subito fatto capire che avrebbe adottato la linea dura, usufruendo del diritto a chiudere gli ingressi per un periodo transitorio di sette anni, il massimo consentito.
Negli ultimi mesi, anche altri governi hanno abbracciato la linea di Vienna e Berlino o, almeno, stanno pensando di farlo. L’ultima, in ordine di tempo, è stata l’Olanda. A fine gennaio il governo ha annunciato di volersi riservare il diritto a chiudere le frontiere ai lavoratori dei futuri partner nel caso in cui questi superino le 22.000 unità nel primo anno.
Anche Danimarca, Belgio, Grecia e Finlandia, si appresterebbero a congelare il diritto alla piena libertà di circolazione per almeno due anni.
Francia, Italia e Spagna, stanno invece ancora riflettendo sulle misure più appropriate. Parigi non vuole introdurre quote annuali, ma non intende neanche aprire completamente le frontiere. Madrid starebbe pensando di concedere l’ingresso solo a chi possa dimostrare di avere un lavoro. Le autorità italiane infine stanno vagliando diverse ipotesi, inclusa quella più drastica di una messa al bando totale di sette anni.
Persino il Portogallo, che avrebbe bisogno di una forza lavoro di 20mila unità , ha deciso di limitare gli ingressi.
La Svezia, che inizialmente aveva deciso di aprire le frontiere, ha deciso di cambiare idea annunciando qualche settimana fa l’intenzione di imporre restrizioni all’ingresso dei lavoratori.
Solo Gran Bretagna e Irlanda, entrambe a corto di mano d’opera, restano determinate a mantenere la politica della "porta aperta" ai nuovi partner. Anche se Londra sta pensando di limitare in qualche modo il peso dei nuovi lavoratori sul già precario stato del sistema sociale britannico.
Questi rapidi cambiamenti di politica da parte dei vecchi partner Ue non hanno certo piacere ai futuri membri del club.
Si teme probabilmente un’invasione dall’Est?
Nient’altro di più errato.
Secondo i calcoli della Commissione, nei primi anni dopo l’allargamento, il flusso annuale di lavoratori migranti sarà compreso fra i 70mila e i 150mila.
Cifre molto modeste, soprattutto per il fatto che in massima parte si tratterà di lavoratori temporanei.
(9 febbraio 2004)