Senza titolo

In questo numero di liberopensiero la parola chiave è CULTURASi parla di:- Santo e glorioso- Una sfera d’oro in cima al campanile- Obiezioni

Un filosofo, nel Medioevo, doveva dopotutto misurarsi con un solo problema. Sempre lo stesso. Doveva spiegare come la trascendenza infinita di Dio, la sua sproporzione rispetto a tutto quanto è creato, potesse coniugarsi con la sua pervasiva presenza nelle cose, nessuna esclusa. Di Dio si predica la santità , e cioè la separazione, e di Dio si predica la gloria, che risplende sovrana su tutto il creato. Se il filosofo avesse ignorato la trascendenza optando per la presenza di Dio nel mondo sarebbe stato tacciato di idolatria e di paganesimo, se invece avesse privilegiato la trascendenza lasciando il mondo al suo destino caotico sarebbe stato annoverato tra quegli eretici che, come gli gnostici, pensano che il mondo sia in balia di un Dio inferiore minorato e folle (il principe delle tenebre) opposto al vero Dio. Tutti i grandi concetti del pensiero medievale (ad esempio, quello di "analogia") nascono allora da questa esigenza di tener ferma la differenza nella relazione e la relazione nella differenza, Dio separato dal mondo e il mondo invaso fin nella sua ultima fibra dalla luce divina.

Bisognava perciò aiutare l’intelletto comune a pensare questo paradosso. Il pensiero medievale era perciò ricco di "immagini" che dovevano orientare il pensiero facilitandogli una comprensione intuitiva di questa enigmatica coincidenza di differenza e relazione. Tra questi esempi merita di essere ricordato quello proposto dal grande Giovanni Scoto Eriugena (IX sec.). Ci si immagini, egli scrive, una sfera d’oro issata sul più alto campanile del paese in una bella giornata d’estate. Essa rilucerà  maestosa e attrarrà  a sei tutti gli sguardi degli abitanti, che ne saranno come invasi. Saranno sguardi pieni di venerazione, sebbene nessuno tra questi possa mai pretendere di essere lo sguardo definitivo, quello nel quale la sfera si mostra nella sua interezza. La nostra educazione relativistica ci farebbe oggi parlare di differenti "punti di vista". Ognuno di essi risulterà  inevitabilmente limitato (o "contratto", come scriveranno i platonici di Chartres). Ogni sguardo parteciperà  dello splendore di quella sfera inafferrabile nella misura in cui ne è capace. Al tempo stesso dovrà  riconoscere la propria limitatezza e l’uguale diritto dell’altrui prospettiva. Partecipare significa infatti prendere parte a qualcosa che, "come tale", resta sempre "al di là ". L’esempio di Scoto Eriugena è potente. Essa mette in questione la tradizionale opposizione verità -errore. Secondo la sua ipotesi ogni sguardo è sguardo sulla verità  unica e insuperabile nella stessa misura in cui, essendo "uno" dei possibili sguardi, è in errore, non è cioè la verità  che guarda ammirato. Ogni creatura, insomma, è una teofania (un’apparizione di Dio), senza che Dio sia riducibile ad alcuna creatura e nemmeno alla loro ipotetica somma.

Perchè allora non provare a pensare così anche il nostro problema, quello che concerne la differenza "culturale" e la necessità  di trovare un punto nel quale essa sia trascesa, senza violenza per ogni singola "cultura"? Al dotto razzista che pretende che ogni cultura sia chiusa in se stessa e incommensurabile con le altre (e, dunque, ingiudicabile: l’unico metro sarebbe allora la forza), andrebbe obiettato che tutte le culture, come gli "sguardi" di Eriugena, comunicano in quel Bene al quale tutte tendono, mancandolo inevitabilmente. A chi crede che le culture siano solo sistemi di valori in lotta mortale tra loro andrebbe risposto che esse sono partecipazioni imperfette ad una verità  esclusiva che tutte le trascende e che tutte le giudica. A chi elegge la propria cultura a verità  indiscutibile andrebbe ricordato che questa è la strada che porta lontano dalla verità . Uno sguardo che non guardi più nell’unica direzione in cui convengono tutti gli sguardi ha uno sguardo che non vede, ha una cecità  travestita da visione. I filosofi del medioevo chiamavano questo accecamento "male". Il male è pensare la differenza senza la relazione e la relazione senza la differenza. Il male è il relativismo culturale in tutte le sue forme (dal "differenzialismo" razzista al "politicamente corretto") ed il male è l’asservimento delle differenze al primato di uno "sguardo" che, cancellandosi come "sguardo", si spaccia per l’infinita e irraggiungibile sfera d’oro (la democrazia delle cannoniere, la libertà  coatta).

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *