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CI SONO PSICHIATRIE, quelle biologiche, che non si interessano della interiorità , della soggettività , dei modi con cui ogni singolo paziente rivive la propria angoscia e la propria depressione, le proprie insicurezze e le proprie fragilità ; e ci sono, invece, psichiatrie che si riconoscono nella loro ragione d’essere teorica e pratica negando, certo, la dimensione biologica dei fenomeni psichici sottolineando fino in fondo la radicale e decisiva significazione degli aspetti di ogni esperienza psicologica e umana: normale o patologica.
Senza trionfalismi, e senza assumere atteggiamenti manichei, è necessario dire che, solo se la psichiatria è considerata nella sua duplice natura di scienza naturale (psichiatria biologica) e di scienza umana (psichiatria fenomenologica), essa si isola dalle realtà  sociali e interpersonali della vita, e si confronta con esse in una dialettica continua e inesauribile; traendo da esse motivi e sollecitazioni senza fine, che la rendano aperta e disponibile ad ogni cambiamento, e ad esse offrendo elementi di riflessione e di approfondimento dei significati, e del senso, delle cose che ci circondano e in cui siamo immersi.
Non è il caso, ovviamente, che abbia a indicare le fondazioni epistemologiche, e le ragioni d’essere teoriche, che separano queste due diverse psichiatrie. Sono psichiatrie , radicalmente diverse, non solo in ordine al loro oggetto di conoscenza, la vita interiore nella psichiatria fenomenologica e la funzionalità  cerebrale nella psichiatria biologica, ma anche nei modi con cui ci si confronta con ogni umano destino: con quello, in particolare, segnato dalla malattia e dalla sofferenza.
I modelli conoscitivi e concettuali della psichiatria biologica sono orientati alla identificazione dei fenomeni psichici nei fenomeni fisici alla cancellazione della dimensione psichica della vita umana, alla riduzione della soggettività  a prestazione biologica e della individualità  umana ad una realtà  che non abbia nulla di particolare nei confronti della natura. Questi modelli conoscitivi si sovrappongono rigidamente a quelli della psichiatria ottocentesca: aggiornati sulla scia delle moderne conquiste sperimentali e tecnologiche delle neuroscienze che, come si sa, giungono fino a sostenere tesi di un riduzionismo radicale: ciò che è psichico non è nient’altro che l’attivarsi (l’incendiarsi) di determinati neuroni in determinate aree cerebrali. Da queste tesi discendono la crisi e, in fondo, la cancellazione di valori come la, la e la . Mai come oggi la contrapposizione fra una psichiatria biologica, una psichiatria dominata dalle neuroscienze, una psichiatria che sta franando nella cancellazione della vita psichica, e una psichiatria che continua a scrutare e a sondare le immagini interiori della sofferenza e della angoscia nei suoi mille volti, è stata tanto rovente e tanto insanabile.
Non è possibile essere equidistanti fra l’una e l’altra psichiatria; ma è necessario scegliere fra l’una e l’altra. Scegliere non solo sulla base delle diverse concezioni del mondo, che in ciascuna di esse si rispecchiano drasticamente, ma soprattutto sulla base delle conseguenze pratiche e terapeutiche, storiche ed esistenziali, che da ciascuna di esse scaturiscano.
Come ha scritto una volta Blaise Pascal, in una delle sue sfolgoranti , il valore (il senso) delle teorie deve essere analizzato alla luce delle implicazioni pratiche a cui esse, ciascuna di esse, portano.
Non intendo ora soffermarmi sulle conseguenze, anche eticamente problematiche, fatalmente legate a una psichiatria risucchiata nel gorgo dei riduzionismi (del riduzionismo radicale e del riduzionismo monistico che, del resto, non è molto diverso concettualmente), ma ho solo voluto chiarire subito la importanza decisiva della scelta fra una psichiatria biologistica e una psichiatria che si definisce fenomenologica: incentrata sulla dimensione interiore della esistenza.
Non posso nondimeno non sottolineare, a questo riguardo, come il modello biologistico di conoscenza, lo ha scritto Thomas Fuchs in un capitolo di un libro dedicato al tema sconvolgente della ricerca psichiatrica e della eutanasia in epoca nazionalsocialista, modifica profondamente l’immagine dell’uomo nel suo mondo: identificandolo nelle sue prestazioni biologiche e riducendolo alla sua naturalità ; e togliendo ogni significato alla persona umana. Il modello biologistico di conoscenza, che è stato dominante nella psichiatria tedesca degli anni fatali del nazionalsocialismo, ha fatto rinascere e dilagare il tema della vita non degna di essere vissuta, del non senso della vita, quando una esperienza psicotica scende nei nostri cuori frastornati dalla solitudine e dalla tristezza, e ha trascinato con se la giustificazione (falsamente) scientifica, e contrassegnata dalla violenza inaudita e dalla cancellazione di ogni scheggia di umanità , dell’olocausto in psichiatria: avvenuto, appunto, in Germania negli anni fra il 1933 e il 1943. Insomma, la profetica intuizione di Pascal si è allora realizzata nell’orrore del silenzio e della indifferenza etica della scienza: della psichiatria.

COSA POSSO DIRE, allora, in questo circolo di considerazioni che mi consentano di definire gli elementi costitutivi di una psichiatria alternativa a quella biologistica: di una psichiatria della interiorità ?
Vorrei ribadire che, in questa ottica interpretativa, la psichiatria ha a che fare con la soggettività  e con la interiorità : con gli abissi di sofferenza che in esse si manifestano: con gli arcipelaghi sconfinati delle emozioni ferite e oltraggiate: con la tristezza e la malinconia, con l’inquietudine e l’angoscia, con l’estraneità  e la dissociazione, con il dolore e la disperazione, con le lacerazioni dell’anima e il silenzio del corpo.
Come confrontarsi con queste umane esperienze che, del resto, fanno parte della vita non solo psicopatologica ma della vita di ciascuno di noi? Come decifrarle nei loro significati nascosti e umbratili: nelle loro ombre e nelle loro penombre: nelle loro luci anche che timidamente rinascono nelle tenebre dell’angoscia e della sofferenza?
Non, certo, in un atteggiamento da freddezza e di neutralità  emozionali, di lontananza e di estraneità  conoscitive; ma invece in un atteggiamento dà  ascolto e di partecipazione emozionale, di immedesimazione e di introspezione: che sono la premessa a ogni conoscenza psicologica e umana.
Se la psichiatria è la psichiatria dell’ascolto e della decifrazione ermeneutica, della introspezione e della immedesimazione, del transfert e del contro-transfert, essa si può avvicinare ai fenomeni psicopatologici, alle esperienze psicotiche, cogliendoli nella loro immediata dimensione umana e nei loro inattesi significati esistenziali, e aiutandoci anche ad approfondire e talora a svelare gli orizzonti di senso ignorati, e magari calpestati, che si nascondono nella vita quotidiana di ciascuno di noi: al di là  di ogni condizione di malattia. Se mi sarà  possibile, vorrei allora svolgere qualche riflessione sui contenuti psicologici e umani di modi di essere e di vivere che abbiano comunque a confrontarsi, e lo sono tutti, con la alterità : con la vita e con la vita degli : con la vita sociale e in fondo famigliare: con la vita che ci viene incontro ogni giorno; quanto, in particolare, si sia immersi in una delle forme di operatività  sociale. La psichiatria, del resto, come diceva Walter Schulte, uno dei grandi psichiatri tedeschi del ‘900, o è psichiatria sociale o non è psichiatria. La psichiatria come sfida alla indifferenza e alla routine, agli schematismi riduzionistici delle neuroscienze; e come invito a seguire il sentiero interrotto della conoscenza che porta verso l’interno, verso l’interiorità , di ciascuno di noi. Come dice Agostino nelle :"Noli foras ire, in te redi, in interiore homine habitat veritas".

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