Psichiatria democratica compie trent’anni, e li può festeggiare in buona compagnia. Perchè, contemporaneamente, ne compie venticinque la legge 180, trenta Fogli di informazione, la rivista teorica della psichiatria in lotta contro le istituzioni totali e, nel suo piccolo, ne compie venti Nautilus, il supplemento del manifesto che, a partire dal maggio 1983 e per circa tre anni, fu la voce più battente e incalzante del movimento di deistituzionalizzazione. Nato cinque anni dopo l’approvazione della legge Basaglia, il mensile Nautilus fu il primo giornale nel giornale a occuparsi di salute mentale "praticamente" e cioè indicando e denunciando le omissioni, le resistenze, gli abusi, le illegalità , le sopraffazioni ritenute fino ad allora lecite o addirittura spacciate come terapeutiche e finalmente svelate. Fu un esperimento e perfino un "modello", a indicare il più forte e decisivo legame che può esistere tra la società che soffre e l’informazione: il rispetto, l’attenzione e l’ascolto. Nautilus è durato meno di tre anni e forse le ragioni dell’esaurirsi di quella esperienza contengono segnali che arrivano fino ad oggi. Segnali politici, professionali, culturali. Quelli che facevano parte della cosiddetta redazione sono saliti su barche molto diverse: qualcuno, seguendo le mode, è diventato consulente di giornali e televisione, buono a vendere pareri o ispirate interpretazioni al miglior offerente e contribuendo alla creazione della perniciosa figura professionale dello psico-giornalista d’assalto. Altri hanno preferito navigare in acque ancora più aperte, veri oceani del mercato, cercando tranquillanti soluzioni farmacologiche. Altri ancora hanno preferito le più conosciute acque della politica dei piccoli (troppo piccoli) passi, spesso rivelatisi fallimentari. Molti, moltissimi, hanno continuato a fare un lavoro certosino, a volte oscuro, sempre importante. Ora, dopo vent’anni, qualcuno è diventato primario, qualcuno è in pensione, qualcuno è docente universitario, qualcuno cerca di capire se si può amministrare con competenza, rettitudine e democrazia la salute. Tutti convinti che le ragioni che li avevano portati, allora, nella redazione del manifesto, non siano fuori corso, anche se vanno diversamente declinate.
Nel 1983 c’era una speranza forte, a spingere al cambiamento a fronte, però, di una situazione di illegalità totale e proterva. Leggiamo, dallo stesso Nautilus del gennaio 1984 (conserviamo l’intera collezione) un articolo di Roberto Tesi sui dati di una ricerca del Censis: "I degenti negli ospedali psichiatrici, che erano circa centomila agli inizi degli anni `70, si riducono a circa 55 mila nel `78 (anno di approvazione della legge), passano a 35 mila nel 1981 e attualmente dovrebbero essere 32, 33 mila (collocati in 194 strutture manicomiali). In diminuzione anche i ricoveri coatti: nel quinquennio, i trattamenti sanitari obbligatori si sono praticamente dimezzati". Ecco, invece, le più recenti cifre, diffuse al recente Forum salute mentale che si è tenuto a Roma alla metà di ottobre: ufficialmente tutti i manicomi sono chiusi dal 1998, anche se l’attiva inerzia (ossimoro necessario) di lobby politiche e mediche ha immediatamente creato pericolosi anticorpi in quelli che oggi si chiamano Spcd (Servizi psichiatrici di diagnosi e cura). Attualmente i posti letto sono 3.997 collocati in luoghi degradati, nei sottoscala o nei piani alti degli ospedali, spesso muniti di grate, spesso con porte che si aprono solo dall’esterno, spesso con l’utilizzo di mezzi di contenzione fisica. Segno che la tentazione manicomiale era ben più che una necessità o una mancanza di cultura delle alternative. Crescono, infatti, anche le strutture residenziali: gli ultimi dati parlano di 17 mila posti residenziali suddivisi in strutture spesso con 40 o più utenti, lontane dai luoghi della vita quotidiana e spesso anonimi, regolati secondo logiche manicomiali. E non mancano, naturalmente, le case di cura private, che sono 3.975 e si trovano prevalentemente nel Lazio, in Campania, in Piemonte, in Calabria e in Veneto: attualmente troppo spesso si limitano a raccogliere le persone rifiutate o espulse dai Centri di salute mentale che sarebbero la principale "centralina" territoriale per la salute mentale (sono 707 in tutta Italia). A tutto questo si aggiungono, infine, i circa 120 internati nei sei manicomi giudiziari. Da anni, proposte di legge ma anche di semplice buon senso insistono per la loro chiusura, anche perché è ben noto a tutti che il 20 per cento delle persone attualmente in Opg (Ospedale psichiatrico giudiziario) hanno commesso solo reati minori con un indice di pericolosità del tutto evanescente. Ma la loro persistenza è dovuta al simbolo inquietante che evocano e portano con sè: quello della pericolosità sociale del malato di mente a cui, evidentemente, è difficile rinunciare.
Fin qui la situazione, che è bene conoscere per non abboccare agli ami che la conservazione politica, l’ambizione delle lobby mediche e la banalizzazione mediatica ci propongono. Sappiamo, per concludere, che in Italia ci sono circa 600 mila persone con problemi mentali e che, di queste, circa 400 mila hanno disturbi gravi. Allora occorre scegliere, e anche l’informazione deve farlo: o ci rassegnamo a consegnarli a una certa senatrice Burani Procaccini (o chi per lei) e alla sua riforma della legge 180 che prevede, tra altre amenità , oltre alla riapertura dei manicomi, anche la possibilità di catturare una persona e sottoporla a trattamento sanitario obbligatorio su richiesta di un familiare o di qualsiasi cittadino (tosicodipendenti compresi). Oppure ci applichiamo, ciascuno dal proprio punto di osservazione e con gli strumenti a disposizione, a compiere una autentica rivoluzione culturale. Della portata di quella di Franco Basaglia, ma applicata alle mutate geografie sociali. Siamo convinti che Psichiatria democratica abbia questa aspirazione, come il suo congresso di Matera ("Sporcandosi le mani", il 13, 14 e 15 novembre all’Auditorium conservatorio) dimostrerà imbarcardosi su una nuova nave dei folli.