Senza titolo

Nel servizio dove lavoro nessuno di noi infermieri ha un qualche legame con quello che era l’ospedale psichiatrico, conosciamo solamente esperienze di nonviolenza. I pazienti non vengono legati, non c’è violenza fisica e si lavora molto sulla violenza della comunicazione, perché anche le parole spesso pos-sono fare male più che uno schiaffo.
La psichiatria ha un’anima utopistica (la sua vocazione terapeutica) e un’anima che punta al controllo sociale. La seconda ha toccato il suo limite massimo nella psichiatria del Terzo Reich.
La nonviolenza è una scelta d’obbligo dopo la chiusura dei manicomi. I pazienti sono ancora diffidenti, isti-tuzionalizzati, difficili da trattare, ogni intervento viene vissuto come punitivo e non riabilitativo o di aiuto. Chi viene da noi dopo un periodo in un ospedale psichiatrico giudiziario, e si trova alle prese con un am-biente dove ci sono porte e menti aperte, vive un primo periodo di difficoltà : prima ricopriva un certo ruolo, ora incontra una realtà  diversa, non sa più chi è. Occorre un grande lavoro perché questi pazienti possano accettare di non essere rinchiusi, e poi per poter concepire una vita futura.
Il nostro lavoro come equipe è quello di cercare la responsabile collaborazione del paziente.
Il principio delle porte aperte non significa rinunciare a farsi carico dei pazienti gravi, ma richiede una maggiore attenzione e personalizzazione della cura. Abbiamo 10 letti per un territorio di 120.000 abi-tanti. Non si lavora mai a porte chiuse, in tutte le strutture del territorio. Un sistema funzionante di ser-vizi sul territorio riduce l’afferenza di pazienti acuti.
Cerchiamo di ridurre la paura, la tensione, ogni violenza inutile. è attiva una rete informativa sulle abi-tudini e i comportamenti dei pazienti, sulle loro possibili reazioni, e il fatto di avere in reparto una per-sona che non è sconosciuta al malato riduce notevolmente la violenza. Si trasformano la realtà , il modo di essere e di manifestarsi dei pazienti, anche nel modo di vivere la malattia. è stato osservato un mo-dellamento della patologia sull’istituzione: portiamo la malattia psichiatrica nelle nostre mani e la diffondiamo inconsapevolmente.
Se una nuova legge chiederà  una recessione delle regole del trattamento, noi non adotteremo comunque un approccio diverso, perché nessuno può imporci di modificare il nostro approccio nonviolento.

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