FINI: "ABOLIAMO LE QUOTE PER GLI IMMIGRATI"

ROMA – A sollevare la questione era stato Gianfranco Fini in persona: "Non escludiamo affatto che in futuro si possa fare a meno delle quote". Ora lo stesso argomento viene rilanciato da un ministro del suo partito, Gianni Alemanno, responsabile dell’Agricoltura: "Per il nostro settore sono un vero flagello, vanno tolte". E l’Udc – con due ministri, Rocco Buttiglione e Carlo Giovanardi, oltre a Bruno Tabacci – chiede un disegno di legge del governo per eliminare il sistema. Il tetto agli ingressi regolari, infatti, non sarà  toccato dal disegno di legge che la stessa An formalizzerà  venerdì prossimo. In quel testo si parla solo del diritto di voto per le amministrative concesso agli extracomunitari dopo 8 anni di residenza nel nostro Paese.

QUOTE – Il meccanismo delle quote è entrato a regime nel 1997 con la legge Turco-Napolitano. Ogni anno il governo fissa il numero massimo degli stranieri che possono venire a lavorare da noi. "Questo sistema – osserva Tabacci, presidente della commissione Attività  produttive della Camera – strozza le imprese che vorrebbero assumere all’estero ma non possono perché il tetto è già  stato raggiunto. Il problema è grave. Sarebbe buona cosa se intervenisse direttamente il governo con un testo da mandare avanti in parallelo a quello sul voto". Ancora più netto Rocco Buttiglione, ministro per le Politiche comunitarie: "Se dovessi scegliere tra concessione del voto ed eliminazione delle quote, opterei senza dubbio per questo secondo aspetto. Ed è giusto che sia il governo a intervenire". Più cauto Carlo Giovanardi, ministro per i Rapporti con il Parlamento. Ma solo sui tempi: "Sottoscrivo tutto. Ma forse sarebbe meglio aspettare un po’: in Parlamento abbiamo già  la Finanziaria, la riforma delle pensioni, la procreazione assistita… Rischieremmo di intasare le Camere". Chi invece non vuole perdere nemmeno un giorno è Alemanno: "Ancora più degli altri settori, l’agricoltura è letteralmente messa in ginocchio dalle quote. Il governo deve intervenire quanto prima. La Bossi-Fini garantisce che chi è in Italia ha un contratto di lavoro. Perchè mettere altri limiti?".

VOTO – Se nel testo di An non si parla di quote, le ragioni non sono solo di opportunità  politica. Spiega il capogruppo alla Camera Gianfranco Anedda: "Per il voto ci vuole una modifica della Costituzione. Per le quote bisogna cambiare la Bossi-Fini, che è invece una legge ordinaria. Gli iter parlamentari sono diversi: finiremmo nel caos".
Il gruppo di lavoro di An si riunirà  martedì prossimo. Non ci sono novità  rispetto a quanto emerso finora. Spiega Giampaolo Landi di Chiavenna, responsabile per il partito del tema immigrazione: "Oltre agli otto anni di residenza, ci saranno altri requisiti, come l’assenza di precedenti penali, e la disponibilità  di un reddito sufficiente al mantenimento della famiglia. Ma probabilmente non saranno inseriti in questa legge che modifica l’articolo 48 della Costituzione. La questione sarà  regolata con provvedimenti successivi".

REGOLE – Ma che diritti ha, con le leggi in vigore, uno straniero che vive in Italia? Dopo dieci anni di residenza può chiedere la cittadinanza. Può chiederla. Ma per averla deve aspettare almeno un altro anno e mezzo. Solo a questo punto l’immigrato diventa italiano a tutti gli effetti. E gode di tutti i diritti politici: non solo può votare per le elezioni politiche ma puòanche essere eletto in Parlamento. Negli ultimi 10 anni sono stati oltre 50 mila gli stranieri, anche comunitari, diventati nostri connazionali. I numeri sono in crescita: solo nel 2002 le richieste presentate hanno superato quota 20 mila. Ma nella grande maggioranza dei casi, circa l’80%, la cittadinanza viene ottenuta grazie al matrimonio con un italiano o un’italiana. In questo caso non servono 10 anni di residenza. Bastano 6 mesi, oppure 3 anni di matrimonio anche se passati all’estero.

BOSSI-FINI – L’esame delle domande per la regolarizzazione si concluderà  entro la fine dell’anno. Delle 700 mila domande presentate ne sono state evase oltre 550 mila. Si lavora ancora solo in cinque province, quelle a più alta densità  di immigrati: Milano, Brescia, Torino, Roma e Napoli. Sono state raccolte le impronte digitali di oltre 600 mila persone. Non solo gli stranieri che hanno deciso di mettersi in regola ma anche quelli che nel frattempo hanno rinnovato il permesso di soggiorno.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *