Vivo in una casa sommersa: così dico alla gente che me lo chiede. Ho traslocato due anni fa e finora continua a piacermi. Gli estranei mi domandano se è umida e a questo non posso rispondere che sè. Gli amici mi domandano se possono dormire da me e a questo rispondo: ci penserò. Col fatto che vivo qui è la prima volta in vita mia che mi sento speciale e sulla mia casa sommersa non dirò niente di brutto, nè ci inviterò troppa gente che potrebbe diffondere la storia di come ha finito per essere sommersa. Ma a voi lo racconterò, perché non me lo avete chiesto.
La mia città è diventata obsoleta: così sostiene l’amministrazione comunale. Mi figuro grandi carte geografiche con la parola "obsoleta" scritta in rosso sopra varie cittadine di tutto il paese. Oxbow ha ricevuto questo marchio. Invece Mayborne, la città vicina, se la passa benissimo; ha un importante centro commerciale con quattro grandi negozi di richiamo e due cinema, uno con tre sale per i film minori e una multisala per tutti quei filmoni prediletti dai ragazzi, che durante lo spettacolo continuano a sbaciucchiarsi finchè non si sono spartiti la cena sondandosi l’esofago a vicenda.
La cosa incredibile è che nessun altro sa che qui c’è ancora gente: non tanta, solo due persone. Uno è Rod Mancer, che in questa città ci è cresciuto e ha accudito i vecchi genitori finchè non è rimasto solo. Credo che la gente lo abbia sempre visto come l’ombra che spingeva la sedia a rotelle, tant’è che quando hanno allagato la città , e i suoi se n’erano già andati, nessuno ha pensato a chiedere di lui o a domandarsi che fine avesse fatto. Adesso Rod vive agli ultimi due piani della casa in cui abitava da ragazzo e fa conto su di me se gli serve qualcosa. Non vuole andarsene, dice, e non gli importa granchè quando piove (la pioggia, per noi, è la minaccia peggiore). Prima o poi crolleranno tutti i palazzi, qualcuno anzi è già crollato; ma noi non ne parliamo. Davanti alla sua finestra galleggiano tetti interi. Rod sa cosa sta succedendo. E poi c’è la bellissima Contessa che suona il piano a notte fonda quando non riesce a dormire. Come una dattilografa dal tocco unico, riconosce ogni tasto anche al buio, e benché il pianoforte sia scordato per via dell’umidità , la sua musica si addice a Oxbow. La Contessa si dà da fare; non resta chiusa nella palazzina di quattro piani della quale è ormai la sola inquilina rimasta. Le piace affiggere cartelli quello appeso adesso fuori della sua finestra dice "Affittasi gratis" e ora sta lavorando a un nastro di sue canzoni da mandare in giro. Certi giorni guardo fuori e la vedo passare sulla zattera che si fece fare dal commesso di un negozio di ferramenta infatuato di lei qualche settimana prima del previsto allagamento di Oxbow. Ora, quando passa sulla zattera del commesso sento l’impulso di salutarla. So che fra breve attraccherà alla vecchia chiesa gotica ai margini della città e salirà la scala di pietra che porta al pulpito. Poi aprirà la porta dalla quale usciva il prete per predicare ai parrocchiani e troverà terreno solido. Rod non sa come lasciare Oxbow; io e la Contessa, invece, passiamo ambedue dal pulpito. Io vado a scuola tutti i giorni, lei a fare spese una o due volte alla settimana.
A scuola parlavo di loro nei temi, ma non mi credeva nessuno. Per quelli, la Contessa è una puttana e Rod Mancer è frutto della mia immaginazione. Per quelli, neanche i topolini sono veri; eppure, proprio a scuola ho imparato che i topi sanno nuotare. Perciò ora scrivo quello che mi dicono. Descrivo una nazione di gente arida che si tiene stretta al petto la bandiera, che va ai funerali e fa solo finta di capire cosa sta succedendo.
A casa, faccio due tipi di compiti: i compiti di scuola e i compiti sulla gente che abitava in questa città prima dell’inondazione. è più faticoso di quanto non si creda. Ma nella fuga la gente ha lasciato parecchi effetti personali. Con questi oggetti ricostruisco le varie identità . Nella casa in cui vivo abitava un tizio con tre figlie femmine. Ho appeso nella bacheca due loro fotografie: una delle figlie insieme, l’altra di lui. Ora non cerco più nomi, ma sensazioni. Cosa fecero, cosa videro, cosa provarono nei loro ultimi giorni? Radio a transistor sintonizzate sul notiziario, libri lasciati aperti o voltati in già a una certa pagina. Gli oggetti che trovo li prendo e li divido con Rod; stessa cosa i vestiti.
In questi appartamenti o al secondo piano delle case più vecchie, quelle che partiranno per prime, quelle che stanno perdendo le assi in acqua a una a una, talvolta mi dimentico di me. Dimentico la famiglia che avevo, dimentico le lezioni che frequento, e semplicemente vivo nella vita di questa gente che non c’è più.