Manifestazione "Tutti in campo per una città Multiculturale" dieci anni di cittadinanza attiva 1993 – 2003

Era il 20 giugno del 1993, quando ci inventammo una giornata speciale per la gente del quartiere. Ma non semplicemente una baldoria paesana, confusa tra divertimento e buone intenzioni. La definimmo sui giornali "festa della diversità ": un’occasione per mettere insieme la gente, nella propria specifica ed inimitabile diversità .
Partivamo dalla nostra esperienza di condivisione nello sport, nel tempo libero e nel lavoro con persone con disabilità  psichica, ma volevamo evitare di sottolineare soltanto la malattia e l’emarginazione sociale. Il tentativo era quello di guardare con occhio positivo a tutto ciò che ordinariamente viene definito negativo.
Ognuno di noi vive ed assimila la realtà  secondo le proprie personali modalità , che sono frutto della propria personale storia sociale, culturale, politica, religiosa, fisica e psichica. Ognuno di noi percepisce parti della realtà  che altri non percepiscono.
La diversità  è il necessario presupposto all’approfondimento ed alla riflessione sulla realtà .
Le singole persone, con le proprie sensibilità , affinate da patologie mentali, handicap fisici, esperienze culturali, militanze politiche o cammini di fede, percepiscono solo alcune parti della realtà , con angolazioni e tagli diversi.
La verità  è irraggiungibile dal singolo individuo.
La festa nacque come un laboratorio delle diversità  sul territorio, un luogo neutro in cui mettere in comune le proprie presunte verità , al solo scopo di confrontarle con le presunte verità  degli altri.
Fin dalla prima edizione della manifestazione, la gente fu invitata a lasciarsi coinvolgere, gridando, cantando e ballando, senza timore di essere giudicata.
La madre di famiglia, l’operaio e il manager si venivano a trovare gomito a gomito a ridere delle stesse emozioni, insieme a tante persone ordinariamente emarginate, perché considerate malate o pericolose. La paura del mostro si trasformava nella scoperta della diversità  dell’.
Dopo la prima edizione, ce ne sono state altre otto, ognuno diversa dalla precedente.
Anno dopo anno, siamo cambiati molto ed il mondo è cambiato intorno a noi.
L’entusiasmo e gli ideali dei primi anni si sono spesso confusi nelle disillusioni e nei compromessi degli ultimi anni.
I giovani che sfidavano la vita si sono trasformati in attempati padri di famiglia e in frustrate casalinghe, che tutto possono insegnare al mondo e nulla hanno più da imparare.
Anno dopo anno, abbiamo allestito spettacoli teatrali di grande qualità , abbiamo organizzato eventi sportivi di richiamo ed abbiamo prodotto libri e film di un certo interesse, ma ci siamo allontanati lentamente da noi stessi.
Non siamo riusciti più a fare gruppo e a credere fortemente nei nostri sogni.
Abbiamo voluto dimenticare i problemi e le sofferenze di tutti quelli tra noi che una famiglia non se la sono costruita ed un lavoro non l’hanno trovato, quelli che dieci anni fa abbiamo tirato fuori dalla prigione della loro casa e che oggi girano tutto il giorno su se stessi, nelle strade dei nostri quartieri.
Eravamo riusciti a farci aprire le porte delle parrocchie, eravamo riusciti a convincere la gente a non avere paura, eravamo riusciti a fare integrazione.

Da un paese lontano ci viene l’occasione per ripensarci nelle nostre contraddizioni quotidiane e per provare a lasciarci coinvolgere nuovamente.
Un po’ per caso, qualche anno fa, alcuni di noi (quelli che una famiglia se la sono fatta ed uno straccio di lavoro l’hanno trovato) hanno ospitato in casa dei bambini bielorussi, provenienti da zona radioattiva in area Chernobyl.
Doveva essere uno dei tanti slanci di buona volontà  e di altruismo, che ogni giorno abbiamo verso il mondo esterno, noi che sognavamo di condividere tutta la nostra vita con i reietti della società .
E invece i bambini ci hanno indicato un’altra via. Noi che volevamo semplicemente ospitarli per un periodo di tempo, siamo stati costretti da loro ad accoglierli.
E loro, insieme ai nostri figli, ci hanno ricordato cosa vuol dire "ascolto". Una parola, un concetto, un’idea ormai da noi dimenticata. Era un esercizio che una volta praticavamo spesso.
Essere come un vaso vuoto pronto a farsi riempire dall’ e, come un vaso con il suo contenuto, creare una reciprocità , che non travolga nessuno dei due, ma che esalti le qualità  e le funzioni di ciascuno.
Stare, senza avere l’ansia e l’angoscia di dovere dare risposte.
Innamorarsi della vita, sorseggiare lentamente ogni incontro con l’, come si guarda negli occhi la persona amata, nei primi momenti che ti ha detto che vuole stare con te, quando non vuoi insegnarle niente e ti basta perderti nella sua anima, così come lei si perde nella tua.
Abbiamo voluto vedere dove vivono i bambini di Chernobyl, siamo stati all’Internato di Begoml (un villaggio a 100 chilometri da Minsk, la capitale della Bielorussia), dove vivono circa 160 bambini dai 6 ai 16 anni.
L’Istituto è rivolto a persone con oligofrenia, cioè con ritardo mentale ovvero con problemi psichici ovvero con disagio psichiatrico ovvero con disadattamento sociale.
A 17 anni, i ragazzi vengono indirizzati in scuole professionali. Le scuole professionali sono in grandi centri abitati, immensi rispetto al villaggio di Begoml, a cui sono abituati.
Le scuole professionali sono rivolte a giovani dai 17 ai 21 anni, senza disabilitè. Pertanto, i ragazzi di Begoml vengono integrati in un contesto di "normalità ", dopo avere vissuto per oltre 10 anni in un contesto protetto.
Come accade anche in Italia (specie negli istituti tecnici e nelle scuole professionali), il ragazzo che mostra difficoltà  e scarsa autonomia personale viene isolato dagli altri e, anzi, spesso diventa colui che subisce gli scherzi (anche pesanti) dei compagni di scuola.
E poi abbiamo ancora girato e rigirato la Bielorussia, paese di grandi contraddizioni, come lo è ogni paese del mondo, in questa epoca di modernità.
Accanto ai nuovi ricchi, puoi trovare tanti bambini che vivono per strada. E poi inverni rigidi e tanta fame, mentre noi italiani ci godiamo una bella battuta di caccia al cinghiale.

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