Torna al cinema Virzì e le sue solite “fanfare di celluloide dal retrogusto amaro”.
Da lui non ci aspettiamo esercizi di stile o lezioni di tecnica di regia ma, per immagini, frammenti di “calore e delusione” umana, storie vere raccontate con accenti differenti, indagazioni del presente che con la maggior dose di leggerezza possibile possano raccontarci nel concreto aspetti della nostra esistenza.
E con ci troviamo di fronte esattamente a tutto questo.
Se il lavoro precario è un problema che affligge la nostra vita sociale (e di relazione umana?..), in Italia come altrove, Virzì ci accompagna allora in un “tour” nei gironi danteschi di un ipotetico Call Center come ce ne sono (purtroppo) sterminati esempi, luoghi dove anche salutare il proprio collega è una poco produttiva perdita di tempo, dove tutti hanno le ore contate e contati sono anche i minuti trascorsi in bagno per soddisfare le proprie esigenze fisiologiche.
Schiavi di serie “A” e schiavi di serie “B” cantano “allegre” canzoni corali per infondere/infondersi energia e coraggio all’inizio dei lavori, maschi e femmine operano separati assecondando concetti da “supermercato dell’umano”; si cerca di motivare il personale con danze simil-tribali, stimoli, applausi…. chi accumula più “contatti o appuntamenti” vince un elettrodomestico, i nomi al posto dei cognomi non servono a far famiglia se poi “demoni neri” in giacca e cravatta “prelevano, atterriscono, controllano, licenziano”… ci si arrampica trafelati tra “post-it” e schermi di computer e si “inventano confidenze” con il potenziale cliente tramite un furbesco uso simultaneo di telefono e mappe di internet.
Tutti amici, … ed allora “ballano”, giocosi e beffardi, ridicoli giochini a carica…
, sono niente di più che “animali da mostrare” all’ispezione di turno, che sia un giornale o il sindacato, e la “nuova generazione mutante” si difende come può usando persino se stessa come grimaldello ed arma di ricatto (“…faccia un acquisto la prego, serve ad aiutare dei giovani che lavorano…”); non ci si può appigliare alla realtà che frana e si sgretola come argilla e si trova allora conforto e soccorso in rapporti di fantasia, inventati con astuzia e per “bisogno”, che poi diventeranno impietoso ma salvifico confronto, complici determinanti unita al senso di colpa.
Riedizione in chiave moderna e “personale” della vecchia commedia all’italiana, “Tutta la vita davanti” si serve dei soliti personaggi “survoltati” tipici del regista toscano… tutto è “virato” in farsa e grottesco ma poi non molto distante dalla realtà più vera.
, a cominciare da Sabrina Ferilli, “controllore di masse produttive” femminile ed elegante ed aspirante carrierista: affonderà nel baratro dei suoi voli pindarici e delle sue delusioni (Virzì è evidentemente per l’attrice di Fiano Romano una sorta di toccasana rigeneratore); Valerio Mastrandrea è uno stralunato sindacalista al quale è affidato il compito di “custodire” e rappresentare “speranza e nostalgia” (con un pizzico di retorica) , tra ricordi di “vive ed unitarie” manifestazioni di piazza e profumi di pane e frittata; Isabella Ragonese è una neo-laureata in filosofia che non si arrende e cerca di nuotare contro-corrente con tutto l’impegno ed il buonumore possibile: la scena che apre il film con la discussione della sua tesi tra “vecchi barbagianni”, assieme ai tanti “le faremo sapere” che riceve in cambio di richieste di lavoro, ben sintetizzano la dimensione del presente che si intende rappresentare…..ed ancora Massimo Ghini, “piccolo Cesare” su mezzo elettrico a due ruote che presto precipiterà in rovina, Micaela Ramazzotti, indifesa ed ingenua ragazzetta in “sexy-svendita”, annaspante tra le “Guendaline del Grande Fratello” e che avanza al suo bambino solo un “piccolo vibrino di buonanotte”; Elio Germano, “rampollo rampante”, divorato da ansie e nevrosi “routinarie” e che chiuderà amaramente la sua parabola tra beffe e derisioni.
A questo punto va doverosamente aperto un inciso: recentemente Ascanio Celestini, tra cinema e teatro, ha ben esplorato nei meandri della più grande vicenda di “irregolarità” in ambito Call Center in Italia, ovvero “Atesia”, e gli va riconosciuta una raggiunta “onestà e profondità” nel risultato di gran lunga superiore all’opera di Virzì.
Passi per la profondità, che magari la forma “documento” può raggiungere più facilmente e con naturalezza, ma del film di cui parliamo va fatto: sia la mamma di Mara (Ragonese) che legge “L’Unità” e fuma spinelli, tanto quanto Valerio Mastrandrea sindacalista “quasi eroico” della C.G.I.L., tendono ad sulla drammatica questione del precariato, così come la totale “evanescenza” dei sindacati, tra l’altro fra i primi responsabili nell’affossare (e non solo…), ad esempio, .
e la difesa ad oltranza di “vecchi ideali” non è certo d’aiuto alla soluzione di certi contorti rompicapo.
Tutto questo nulla toglie comunque ne alla forza “visiva e del racconto” di questo film molto ben riuscito, così come al merito che comunque ha nel contribuire a diffondere informazione “di massa” ed ampliare la marginale conoscenza riguardo ad una piaga sempre più “occultata”, sottovalutata ed in espansione.