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Con una certa preoccupazione, ma sicuro di non essere distante dalla verità, constato che il cosiddetto mondo non profit sia oramai marginale rispetto alle politiche sociali.
Grandi e piccole organizzazioni del cosiddetto mondo non profit (associazioni e organizzazioni di volontariato, enti gestori) sono ininfluenti nelle scelte di politica sociale.
Vengono esaltati i numeri della loro crescita. L’ultima stima del volontariato in Italia indicava in 3 milioni e trecentomila (Studio Ipsos 2006) coloro che abitualmente fanno volontariato. 21mila le associazioni con 100 mila religiosi che si impegnano in 292 mila piccole sezioni, triplicate rispetto al 1991. Il mondo del volontariato è anche, in qualche modo, profit, essendo stimato il suo fatturato in 38 miliardi di euro.
Nelle imprese sociali a vario titolo lavorano oltre 630 mila dipendenti, che nel 70% dei casi ha un titolo di scuola media superiore.
La loro distribuzione nel territorio nazionale non è omogenea: il 60% opera al nord, il 19,3% al centro e il 20,7% al sud.
La domanda è che cosa oggi dica, in termini politici, questo mondo. La risposta secca è che contano poco, molto poco. Provo a dimostrare la tesi.
Le politiche sociali del nostro paese, negli ultimi dieci anni, hanno focalizzato la loro attenzione sul grosso della popolazione: la preoccupazione maggiore è che cosa offrire al mondo degli impiegati, degli insegnanti, dei piccoli commercianti, degli artigiani. La leva fiscale è tutta concentrata su di loro. Con stanca litania le statistiche, ogni anno, dicono che i poveri in Italia sono dieci milioni, che le famiglie povere sono quelle a un solo componente o famiglie numerose, che esistono bambini poveri al sud etc… Un piano di riduzione della povertà non è stato mai pensato.
Lo Stato dice che occorre riequilibrare i conti pubblici; le Regioni e i Comuni rispondono che non hanno risorse. I poveri sono affidati alle organizzazioni “caritative” che dovrebbero risolvere problemi al di fuori della loro portata, quali il lavoro, la casa, il sostentamento di intere famiglie. Con due grandi questioni: gli immigrati e i non autosufficienti.
Non ci sono più domande da porsi. Il problema della marginalità non è argomento di attenzione politica: figurarsi di soluzione.
Anche a proposito delle politiche sociali in atto (risposte, servizi, prestazioni) i mondi del non profit non contano più nulla. Fino agli anni ’90 erano gli interlocutori della politica. Oggi non lo sono più perché ogni Ufficio statale, centrale o periferico, ha la pletora (pagata) dei propri consulenti. Cifre enormi per gli addetti che studiano, propongono, suggeriscono, consigliano. Scoprendo il coperchio della pentola non è difficile intravedere quale minestra si stia preparando. La disoccupazione intellettuale che preme e trova collocazione; la compensazione per amici (fidati) che aiutano nella gestione della politica. Questi addetti consiglieri sono bravi quanto inutili: tendono a inventare fino all’inverosimile tavoli, piani, programmazioni con il solo merito di moltiplicare addetti; parlano di dipendenze senza aver mai incontrato un tossicodipendente, di malati psichiatrici senza averne mai conosciuto uno; hanno il potere di indicare specialità, percorsi, modalità solo nella loro mente.
La congruità delle strutture e del personale è diventata parossistica, apparentemente orientata ad una migliore qualità dei servizi, in realtà pensata a dare risposte ai disoccupati intellettuali e non.
Insomma il sociale è divenuto un ambito di risorse i cui maggiori vantaggi sono intercettati dai mediatori e non dai destinatari.
Un elemento nuovo si aggiunge allo scenario. Il discredito del mondo del non profit. Una vasta corrente di pensiero oramai lotta contro i mondi del non profit in quanto sarebbero inattendibili, imbroglioni, cialtroni. Campagne orchestrate ad arte, coinvolgendo il buono e il marcio, l’attendibile e l’inattendibile.
La campagna è alimentata da destra e da sinistra: da destra a vantaggio del privato profit, da sinistra per una sistemazione pubblica, rassicurante e stabile degli addetti.
Nello scenario oramai definito i mondi del non profit hanno grandi responsabilità. Essersi lasciati coinvolgere nella gestione senza criteri di trasparenza, stabilità, programmazione.
La trappola della gestione ha tarpato le ali ad ogni invenzione, riflessione critica, proposta innovativa. Gli enti non profit sono diventati strutture a funzionamento privato, alla mercè del pubblico. Appalti precari, a prezzi ridotti, affidati comunque con l’occhio di benevolenza doveroso per gli amici degli amici.
Il secondo demerito è di non essersi distinti da chi, approfittando del sociale, agiva senza etica e senza mission, nemmeno rispettando le regole fondamentali della convivenza.
Il sociale è diventato la cartina di tornasole, drammatica perché si occupa di sofferenza, del potere che si esercita comunque. I deboli sono ritornati ad essere oggetti e non soggetti. Oggetti ininfluenti nella grande politica e per quel poco che esistono, occasione di sopravvivenza per i loro addetti.
Comunità di Capodarco, 1 dicembre 2006
(testo letto in apertura della XIII edizione del seminario per giornalisti "Redattore Sociale")