Fino ad alcuni decenni fa il discorso relativo alla sessualità delle persone con disabilità veniva considerato tabù e, di conseguenza, non veniva preso in considerazione. Attualmente, al contrario, l’argomento viene affrontato con sempre maggiore frequenza, sia da parte degli operatori sia dai mezzi di comunicazione. Fino ad alcuni anni fa, non molti per la verità, la dimensione della sessualità era negata alla persona con disabilità e i tentativi di risolvere il problema sono nati più dall’esigenza di fornire una soluzione immediata piuttosto che di affrontarlo in modo costruttivo, cioè considerando . In particolare, le strategie adottate si risolvevano in interventi di tipo: – fisico (uso di psicofarmaci, legamento delle tube, ovariectomia per le donne ed evirazione per gli uomini) – psicologico (punizioni, minacce, rinforzo di condotte sostitutive o compensatorie) – psicosociale (isolamento, impedimento di contatti con persone dell’altro sesso) Queste soluzioni si sono rivelate fallimentari per il fatto di trascurare la promozione del benessere degli individui e di misconoscere il . Genitori e educatori delle persone con disabilità riescono con difficoltà ad accettare che una persona in situazione di handicap possa manifestare bisogni sessuali analoghi a quelli di una persona normodotata. Il disagio nell’accogliere la dimensione sessuale e la sua espressione nella persona disabile può essere imputato alla biologizzazione della sessualità, ossia alla tendenza a considerarla semplicemente come realtà naturale/organica scarsamente o per nulla correlata a fattori affettivi, relazionali, sociali, ecc. La diretta conseguenza di tale visione è la considerazione della sessualità come dimensione fruibile solo da persone con un apparato biologico sano e funzionale. L’ offre una definizione della sessualità che consideriamo pienamente condivisibile e che dice così:
. La sessualità non coincide esclusivamente con la genitalità e la soluzione della “questione sessuale” non può trascurare altri aspetti ad essa connessi, quali la corporeità, il contatto fisico, la tenerezza, l’affettività, ecc. La sessualità è una dimensione strettamente psichica, di enorme complessità, come hanno rilevato gli studi psicoanalitici: è da sottolineare la dinamica affettiva, profonda e precoce nella relazione primaria del bambino con i genitori (o con gli adulti significativi sostitutivi) nel determinare la genesi e lo sviluppo della sessualità. La sessualità, o meglio la psicosessualità, possiede una dimensione genetica in quanto aspetto umano fondamentale che appartiene all’individuo fin dalla nascita e ne accompagnerà l’esistenza, sviluppandosi verso una strutturazione sempre più complessa e integrata. Essa si inserisce in una prospettiva dinamica, essendo intimamente connessa ad ogni altra dimensione della personalità. La psicosessualità possiede, inoltre, una dimensione strutturale, in quanto comprende elementi e caratteristiche proprie sia del Super-Io che dell’Io e dell’Es, seppure in modo variabile lungo il corso dell’esistenza. La psicosessualità possiede aspetti consci, preconsci ed inconsci, la cui conoscenza consente di attribuire significato al comportamento e di operare scelte libere e gratificanti. La psicosessualità possiede una spinta maturativa uguale e, molto spesso, maggiore ad altre dimensioni psicosociali ed ambientali. Essa, infatti, può contribuire alla promozione dell’immagine di sé, dell’autostima, della capacità di affermazione e di interazione significativa e gratificante. La sessualità umana è profondamente e inevitabilmente intrisa di psiche, in quanto, oltre l’imprescindibile aspetto biofisiologico, comprende e interessa aspetti presenti in ogni area della personalità, quella affettiva, percettiva, emotiva, relazionale, pulsionale, motivazionale, ecc. Tale interdipendenza giustifica l’estrema difficoltà di comprendere la sessualità, analizzandola esclusivamente secondo la prospettiva biofisiologica, indubbiamente importante, ma non unica. La dimensione sessuale rappresenta un elemento primario per definire e valutare la maturità individuale, in quanto costituisce uno degli aspetti fondamentali che la integrano e la determinano e, al tempo stesso, ne è un indicatore basilare. L’esistenza e la manifestazione da parte delle persone con disabilità di bisogni, desideri e condotte psicosessuali, contrariamente a quanto avveniva in passato, non possono più essere negate o ignorate, ma esigono pieno rispetto e impegno per una possibile realizzazione. Tali manifestazioni sessuali si esprimono nelle diverse tappe evolutive, in accordo con il grado e il livello di integrazione personale, di sviluppo cognitivo e fisico, di competenza relazionale e di adattamento e autonomia sociale. È necessario distinguere con precisione le pulsioni e i desideri sessuali e le condotte attuate per realizzarli, dai comportamenti che hanno un significato più ampio, poiché rimandano ad esigenze di tipo affettivo-erotiche o a bisogni di relazioni interpersonali più durevoli. Con questo si vuole sottolineare la necessità di interpretare correttamente le esigenze e le richieste della persona con disabilità, giacché alcune condotte apparentemente sessuali celano, invece, problematiche o richieste più diffusamente affettive e relazionali.
Le affermazioni precedenti introducono il discorso relativo all’importanza e alle responsabilità che gli educatori hanno nel favorire la realizzazione del , al pari delle altre sfere della personalità e sempre secondo le proprie possibilità e in funzione del proprio benessere. Il presupposto fondamentale che consente agli educatori di dare una risposta efficace a tale esigenza, è la capacità di vivere senza angoscia le manifestazioni sessuali delle persone con disabilità, evitando atteggiamenti repressivi o di negazione. Un altro aspetto importante è l’acquisizione di una preparazione adeguata per rispondere alle esigenze di educazione sessuale delle persone con disabilità. è opportuno evidenziare che ci si riferisce ad una educazione sessuale, che non riguarda restrittivamente la realtà e la attività propriamente genitale (riguardanti cioè il rapporto genitale, le misure contraccettive o la prevenzione di malattie sessualmente trasmissibili), ma anche i presupposti per una genitalità vissuta positivamente, ovvero la conoscenza del corpo proprio e altrui, la coscienza della propria identità sessuale e delle differenze sessuali, la comprensione della varietà dei rapporti interpersonali e dei differenti gradi di coinvolgimento e implicazioni, la consapevolezza dei significati del rapporto genitale, inteso nella sua funzione di soddisfacimento sia dei bisogni specificamente sessuali sia di quelli più ampiamente affettivi e relazionali. L’intervento pedagogico presuppone, naturalmente, la previa conoscenza delle capacità di comprensione della persona, del suo livello di sviluppo emotivo e pulsionale e deve essere attuato in seguito alla manifestazione dei bisogni e degli interessi specifici. è opportuno che gli educatori siano in grado di gestire adeguatamente i comportamenti della persona con disabilità di tipo sessuale, sensuale o specificamente genitale, evitando reazioni di negazione, di colpevolizzazione o di indifferenza. Affrontare correttamente le manifestazioni psicosessuali della persona rappresenta, inoltre, un importante deterrente per l’instaurarsi di condotte dagli esiti spesso irrimediabili, quali sfruttamento sessuale della persona con disabilità, gravidanze o trasmissione di malattie, o che compromettono od ostacolano l’inserimento sociale della persona con disabilità, perché rifiutate o stigmatizzate a causa di pregiudizi. L’azione educativa deve essere mirata alla ricerca di nuove e stimolanti conoscenze, per instaurare relazioni affettive significative e gratificanti. La presenza attenta e benevola dell’educatore può evitare che tali relazioni divengano fonte di malessere e delusione perché investite di aspettative irrealizzabili. L’attuazione di una azione pedagogica efficace, in grado di promuovere il benessere e la crescita delle persone con disabilità, nei limiti e nel rispetto delle difficoltà, dipende anche dalla capacità degli educatori di operare una chiara e consapevole distinzione fra i bisogni e le condotte psicosessuali della persona con disabilità dai propri vissuti emotivi e dagli eventuali conflitti non risolti relativi alla sessualità, per dare una risposta adeguata alle esigenze della persona in situazione di handicap. La dimensione psicosessuale dovrebbe essere affrontata e considerata al pari delle altre dimensioni della personalità e dl comportamento. Questo discorso rimanda necessariamente all’importanza di un adeguato percorso formativo per gli educatori e gli operatori che interagiscono con le persone con disabilità.
Ogni processo formativo costituisce un cammino faticoso e complesso e implica necessariamente una trasformazione personale, oltre che professionale, avendo come presupposto la ricerca della autenticità personale. Ciò è particolarmente importante per chi si occupa di persone con disabilità, giacché si confronta con due realtà, l’handicap inteso come e la sessualità, che per lungo tempo, e in alcuni casi tuttora, hanno rappresentato due tabù, sia considerati singolarmente sia in interazione. Ciò significa che gli operatori in formazione, a qualunque categoria appartengano, devono affrontare, elaborare e metabolizzare primariamente in sé due dimensioni di notevole pregnanza emotiva, psicologica, sociale e perfino morale. La sessualità, da un lato, intesa come dimensione umana fondamentale, deve essere profondamente analizzata e conosciuta dagli operatori, per evitare i condizionamenti di concezioni preconcette e/o stereotipate, a lungo diffuse e fuorvianti il rapporto con le persone con disabilità. L’handicap, dall’altro lato, presuppone da parte dell’operatore la necessità di confrontarsi con il vissuto emotivo suscitato dalla disabilità, che spesso ed a lungo si è tradotto in un atteggiamento pietistico o di superficiale solidarietà, inutili e da superare. Accostarsi all’handicap implica, inoltre, la riflessione e il confronto sul concetto di limite umano, che riguarda non solo la persona con disabilità, ma rappresenta una condizione ineluttabile dell’essere. Queste considerazioni inducono una serie di interrogativi che riguardano il processo formativo e le caratteristiche che esso deve possedere per essere efficace. In particolare, ci si domanda quali siano le responsabilità dell’operatore rispetto alle manifestazioni psicosessuali della persona con disabilità e di quali strategie e mezzi egli disponga per rispondervi adeguatamente. Dare risposta a tali quesiti non è semplice, così com’è difficile proporre un progetto formativo esauriente. Un possibile campo di indagine e di lavoro è rappresentato dalla riflessione sul vissuto emotivo dell’operatore relativamente all’handicap e alla sessualità. Il presupposto su cui si basa il percorso formativo che si propone è la convinzione che la persona con disabilità possieda delle peculiarità personali e di condotta, che si distinguono per grado di gravità, di strutturazione e di manifestazione e che sia una persona unica e irripetibile, diversa ma non necessariamente malata e con il diritto imprescindibile di esprimere e vivere pienamente, per quel che la natura può permettergli, la propria psicosessualità. Sulla base di tali presupposti, si ritiene che il processo formativo non possa trascurare che il bisogno psicosessuale della persona con disabilità debba essere riconosciuto, accettato, difeso e favorito. Ciò implica lo sviluppo, anche se graduale, della capacità degli operatori di vivere le esigenze e le richieste psicosessuali della persona in situazione di handicap senza angoscia o panico e senza atteggiamenti di negazione, banalizzazione o di colpevolizzazione della persona con disabilità.
L’obiettivo peculiare della formazione è rappresentato dal tentativo di operare una trasformazione profonda dell’operatore, promuovendo la sua autenticità storica, esistenziale e professionale. In particolare, il percorso proposto comprende indicazioni di carattere teorico-tecnico, relative alla dimensione psicosessuale e si fonda sulla teoria psicoanalitica, nello specifico sul modello di sviluppo elaborato da Erikson e proposto nel famoso libro . L’obiettivo di promuovere il confronto da parte dell’operatore con la propria dimensione psicosessuale, al fine di individuare, sperimentare ed elaborare i propri vissuti, spesso conflittuali, può essere considerato un elemento creativo e innovativo. Molto spesso, infatti, i progetti formativi prendono in considerazione solo gli aspetti conoscitivi, informativi del problema e solamente in riferimento all’utente o paziente, disconoscendo l’importanza dei fattori emotivi e relazionali dell’operatore. Tali fattori inevitabilmente intervengono quando si instaura un rapporto umano, seppure di tipo professionale, e lo condizionano. Ogni relazione d’aiuto, educativa o rieducativa, si svolge all’interno di un “campo bipersonale”, un campo, cioè, in cui l’analisi della realtà dell’utente si associa necessariamente alla analisi e alla verifica dell’interazione che si costituisce nel lavorativo. In altri termini, uno spazio in cui la costruzione della realtà della persona con disabilità si intreccia in modo inevitabile con quella dell’operatore e in cui la dimensione profonda dell’uno interagisce con quella dell’altro. Per quel che concerne la dimensione più propriamente tecnica e operativa, il percorso formativo che si propone e che riprende il modello evolutivo di Erikson consiste nell’elaborazione, assimilazione e accomodamento delle varie fasi della vita, che Erikson individua in otto stadi, a cui corrisponde una specifica crisi psicosociale che deve essere superata. Il superamento della crisi e, dunque, il passaggio alla successiva fase di sviluppo dipende, oltre che dalle innate tendenze alla crescita di origine biologica, anche dalla risposta dell’ambiente familiare e sociale.
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– Laurea in Psicologia – Diploma di specializzazione quadriennale in “Psicologia Clinica e Psicoterapia Psicoanalitica” – SIRPA (Istituto Formazione e Ricerche in Psicoterapia Psicoanalitica Roma ) – Attestato di training psicoterapeutico personale Università “La Sapienza di Roma – Attestato di Formazione in Psicomotricità Relazionale – AIEP (Associazione Italiana Educazione Psicomotoria)
– Professore di “Psicologia clinica” – Corso di Laurea per Fisioterapisti – Università “Tor Vergata” di Roma – Professore di “Psicologia Sociale” – Corso di laurea Specialistico in Scienze Infermieristiche – Università “Tor Vergata “di Roma – Professore di “Psicologia Clinica” – Università di “Nostra Signora del buon Consiglio” di Tirana (Albania) -Insegnante Corso di aggiornamento per insegnanti, “L’educazione psicomotoria psicodinamica” – Formatore presso la ASL di Livorno nell’ambito della psicomotricità rivolta agli operatori della ASL – Insegnante di “Psicologia” – “Scuola Infermieri” – Ospedale “S. Maria Goretti”, Latina – Insegnante di “Psicologia” – Regione Lazio per Assistenti Domiciliari ed Animatori Socio – Culturali – Direzione e Insegnante Corsi di Formazione in Psicomotricità presso i seguenti Centri: Ce.R.I.P.A. (Centro Ricerche e Interventi in Psicologia Applicata); C.I.Pra.Ps. (Centro Italiano Pratica Psicomotoria) e C.I.P. (Centro Italiano Psicomotricità) – Insegnante SIRPIDI (Scuola Internazionale di Specializzazione in Psicologia Clinica e Psicoterapia Psicoanalitica – Vaticano)
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1) Laboratorio esperenziale sulla comunicazione umana: – Roma, Settembre/Dicembre 1994 2) Seminario di formazione – 1995 3) Stage di psicologia – Roma, 23 dicembre 1995 4) Convegno – Terracina, Maggio 1995 5) Corso annuale di formazione in (Cattedra “Elementi di Medicina Psicosomatica” Facoltà di Psicologia Università “La Sapienza” di Roma) – Roma, Gennaio/Novembre 1996 6) Stage residenziale per operatori socio sanitari – Aprilia, Marzo 1995 7) Seminario – Latina, 11 Gennaio 1995 8) Seminario – Latina, Ottobre 1995 9) Corso di formazione – Latina, Gennaio/Novembre 1996 10) Seminario – Roma, Gennaio 1997 11) Corso di perfezionamento in terapia psicomotoria ad orientamento psicodinamico 11) Master sulla comunicazione interpersonale 12) Convegni – Anni 1995/1996/1997 13) Convegno – Terracina, Giugno 1998 14) Corso di formazione – Anni 1994/1998 15) Corso di formazione – Anni 1994/1998 16) Corso di formazione per operatori sociosanitari – Livorno, Gennaio/Giugno 1998 17) Seminari di – Latina, Novembre 1995/Marzo 1996
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1) Di Sauro R., , Attualità in Psicologia 3, 1987 2) Di Sauro R., , Quaderni Oasi, 1988 3) Di Sauro R., , Quaderni Oasi, 1989 4) Di Sauro R. – Mazzelli A. M., , Quaderni Oasi, 1990 5) Di Sauro R. (1990), , in P.Gentili (a cura di), , Borla, Roma 1990 6) Di Sauro R., (1991), , in P. Gentili (a cura di), , Borla, Roma 1991 7) Di Sauro R., , in P. Gentili (a cura di), Borla, Roma 1992 8) Di Sauro R., sulla rivista “Handicap Risposte”. Edizioni Centro Oasi di Troina, 1997 9) Di Sauro R., , Rivista di Psicologia Clinica e Psicoterapia Psicoanalitica Città Nuova, 2002 10) , Quaderni SIRPIDI, 2004 11) Di Sauro R., , in Pennella A. (a cura di), , Edizioni Kappa, Roma, 2004 12) Di Sauro R. Pennella A., , 2005 13) Di Sauro R, in Quaderni SIRPIDI, 2005 14) Di Sauro R. Manca M., , Aracne, Roma, 2006 15) Di Sauro R., , in Quaderni SIRPIDI, Aracne, Roma, 2006 16) Di Sauro Marchigiani F., , Aracne, Roma, 2006