Vandana Shiva è una scienziata famosa. Ma è anche, e sopra tutto, una militante, attivista politica e ambientalista, e tra le figure che più si battono a livello internazionale contro la globalizzazione liberista. Shiva ha vinto il premio Nobel alternativo per la pace nel 1993 ed è direttore della Research Foundation for Science, Technology and Natural Resource Policy. Ha scritto numerosi saggi, alcuni dei quali tradotti in italiano. Uno dei più famosi è “Vacche sacre e mucche pazze. Il furto delle riserve alimentari globali (DeriveApprodi 2001)”. In Italia in questi giorni per partecipare alla giornata finale di Sbilanciamoci, dove ha partecipato alla sessione conclusiva dedicata alle politiche e alle alternative per la trasformazione, Shiva ha incentrato il suo intervento sulle questioni ambientali e di come queste siano strettamente connesse alle contraddizioni della globalizzazione neoliberista. Da qui l’importanza del ruolo delle comunità locali, nel movimento che si oppone a questa globalizzazione, ruolo che in India è particolarmente sentito, anche grazie alle lotte che in questi anni si sono sviluppate, e che, spesso, hanno visto Shiva in prima fila. Fra le cose che ha contribuito a creare è particolarmente interessante il progetto Navdanya, un progetto di ricerca, per sviluppare indicazioni e supporto al movimento ambientalista. Nato nel 1984, uno degli anni più caldi per le violenze nel Punjab e per l’incidente di Bhopal, Navdanya era nato come progetto di agricoltura non violenta per proteggere la bio diversità , la Terra e le piccole fattorie indiane. Abbiamo posto a Vandana Shiva alcune domande.
Io credo che il WTO non avrebbe dovuto nascere. Il WTO è un’istituzione non democratica, che sviluppa industrie e commerci in maniera non democratica. Il fatto che adesso si trovi in difficoltà è la prova che quando molti paesi incominciano ad avere un ruolo attivo nei negoziati, non è possibile arrivare ad un accordo, cosa che di fatto blocca la funzione del WTO. Bisognerebbe cercare invece di lavorare verso una cooperazione multilaterale, e non bilaterale, in maniera tale da impedire cose come il recente accordo sull’agricoltura siglato tra India e Russia, che è molto peggiore di quello che sarebbe potuto uscire dal WTO.
Qualunque tipo di discussione sui servizi, che si proponga di trasformare l’acqua, dall’essere sostegno alla vita, una risorsa pubblica e un bene comune in una merce, che deve produrre profitto a favore delle multinazionali, è una discussione sbagliata. E nel caso che si arrivasse ad un reinserimento dell’acqua nell’ambito della Direttiva Europea, è necessario lottare con grande determinazione perché è di importanza fondamentale che movimento dica no alla privatizzazione dell’acqua, la cui gestione deve rimanere pubblica.
Quello che sta accadendo in india oggi è un progetto del capitalismo globalizzato for profit. E questo progetto viene istituzionalizzato mediante la distruzione sistematica di ogni legge, ogni politica e ogni diritto noi abbiamo messo in campo Per la popolazione dell’India, in particolare, questo modello corrente è un disastro. Per le multinazionali è un processo rapido e positivo. Ad esempio la Monsanto sta cercando di ottenere per via legislativa il monopolio delle sementi di tutta l’India, attraverso l’approvazione di nuove leggi e politiche, con l’appoggio delle banche e del mondo finanziario in generale. Invece per i contadini indiani, tutto ciò ha già provocato centomila suicidi di persone che hanno deciso di porre termine alla loro esistenza. E, fra l’altro, le multinazionali si sono comprate le terre a dei prezzi sostanzialmente ridicoli, praticamente le hanno avute gratis, e, oltre a ciò non pagano nemmeno le tasse, grazie all’approvazione di altre leggi che hanno garantito a quelle terre una sorta di stato di “esenzione fiscale”. Così, grazie allo sfruttamento delle sue risorse naturali da parte delle multinazionali, l’India ha oggi meno acqua di quanta non ne aveva 10 anni fa, meno cibo di quanto non ne aveva 10 anni fa. Per l’India rischia di iniziare, o forse è già iniziato, un periodo di arretratezza.
Ritengo, e sono profondamente convinta, che il Movimento che si oppone alla globalizzazione capitalista sia presente e sia molto forte. Io distinguo diversi livelli. Mi pare sia particolarmente radicato sul livello locale, il livello delle lotte direttamente legate alle contraddizioni che si presentano sui territori. In India, come anche nel resto del mondo, abbiamo molti esempi di questo tipo. E credo che acquisterà sempre maggiore importanza nel prossimo futuro. Vi è poi il livello delle istituzioni nazionali, all’interno delle quali, frequentemente, si riescono a raccogliere dei risultati importanti (come la messa in crisi del WTO). Vi è poi un livello internazionale, di solidarietà globale, come quello rappresentato dai Social Forum, dove le esperienze si confrontano su un livello orizzontale, di parità,e questo permette scambio, confronto, arricchimento e possibilità di moltiplicazione delle lotte contro questa globalizzazione capitalista.
LIBERAZIONE, 5 Settembre 2006