Erano quattro kamikaze, gli assassini di Londra, tutti cittadini britannici. Non lo dice la polizia ma la , però ci dicono che possiamo fidarci e inorridire in modo adeguato. Le bombe umane saltano in aria anche tra le nostre tiepide case, hanno il passaporto del nostro stesso colore. Non sono tra noi, sono noi, non importa se da pochi mesi o molti anni. La loro esplosione segna, in qualche modo, l’implosione dell’Occidente che si vuole combatta una guerra in difesa di ciò che ha di più caro. Ma ciò che avevamo di caro è stato annichilito da molto tempo, una guerra dopo l’altra. E la difesa armata dei presunti noi stessi ci ha fatto diventare il nemico che dichiaravamo di voler combattere. Abbiamo fatto quasi tutto da soli e ora terroristi suicidi occidentali uccidono cittadini inermi occidentali in una capitale occidentale. Credevamo di essere al fronte ma il fronte non c’è più, l’Oriente è venuto a trovarci e ha messo su casa. La parola kamikaze la importò Marco Polo di ritorno dal Giappone ma in arabo non esiste e anzi «vento divino», ciò che significa in italiano, è uno dei 99 bei nomi di dio nella teologia islamica. Tanti saluti alla civiltà superiore. Il vincolo della sopravvivenza non è più un deterrente, il limite ultimo e invalicabile di una violenza che è ormai l’unico elemento di relazione tra gli individui. Ciò che accade ogni giorno in Palestina o Iraq ci appare feroce e incomprensibile. Oggi accade in Gran Bretagna, ben dentro il campo che dicono sia il nostro, e comprendere diventa un obbligo.
È proprio dal campo che bisogna uscire, dall’Occidente come camicia di forza, sistema di valori intangibili da preservare, laddove necessario, con la spada (e con la garanzia che, se a maneggiarla siamo noi, ciò non sarà considerato anticristiano). Fuggire da questo Occidente, magari portandosi dietro la cassa. Libertà, democrazia, uguaglianza, giornali: c’è un tesoro che non va dilapidato, nella cassaforte occidentale. , tolleranza e cambiamento, sono state le parole d’ordine del sindaco di Londra, Ken Livingstone, il giorno dopo il macello della sua città. Cambiamento, appunto.
Invece difendiamo a mano armata la nostra identità, per colpire il «nemico» ci colpiamo da soli, in Italia pensiamo di scampare al prossimo attentato cacciando i clandestini e controllando poste e telefoni: il cielo stellato sopra di noi, le leggi speciali dentro di noi.
È stato detto che l’impossibile immedesimazione con chi patisce una massima ingiustizia – la guerra è una – è la radice dell’incomprensione di fronte al terrorista suicida. Ora possiamo capire, e non è un bene che sia a prezzo del nostro sangue, ora possiamo inorridire. Dei kamikaze, della guerra e di noi stessi.