. (Proverbio Brasiliano)
La classe, come ogni altro gruppo, si forma perché ha un obiettivo da raggiungere. Obiettivo comune della classe è l’apprendimento sia di contenuti che di competenze trasversali, quali quelle relazionali, sociali. Questo obiettivo – dato dall’istituzione scolastica – si presuppone condiviso. In realtà , essendo obbligatorio, si può ipotizzare che non sempre sia sentito da tutti nello stesso modo.
L’insegnante deve fare un percorso affinché anche gli allievi lo riconoscano come proprio. Naturalmente alcuni ne hanno consapevolezza e lo dimostrano attraverso l’impegno e l’interesse per le attività scolastiche; altri lo vivono come un obiettivo dei genitori e degli insegnanti; altri, infine, di fronte al proprio insuccesso, lo rifiutano e cercano in tutti i modi di impedirne il raggiungimento anche ai compagni.
Tenendo conto del doppio livello di bisogni che si esprimono quando si è in gruppo – quelli individuali e quelli di gruppo -, possiamo dire che il "NOI", cioè la coesione di gruppo, si struttura intorno all’ che rappresenta il motivo e il fine per cui si forma e termina il gruppo classe. L’apprendimento è un obiettivo del singolo, del gruppo e dell’istituzione (nella persona dell’insegnante), ma di per se stesso attiva delle dinamiche emotive molto forti, il cui esito dà la percezione sociale all’allievo del suo "valore". Infatti, se l’allievo ottiene buoni risultati sente di avere un valore positivo; in caso contrario, il confronto con gli altri sfocia in una svalutazione di se stesso.
Perciò i due livelli del gruppo – quello relazionale e quello legato al lavoro più razionale – vanno insieme. I bisogni del singolo – di avere un’identità positiva, di appartenenza, di avere la stima del gruppo – passano, volenti o nolenti, attraverso i risultati ottenuti, soprattutto se l’approccio del team di insegnanti della classe è centrato solo sul programma. Infatti la classe poco per volta sviluppa i giudizi in base ai commenti e alle reazioni dell’insegnante. Se l’insegnante tiene conto solo dei risultati e non del processo e se ritiene che l’apprendimento sia frutto solo del lavoro del singolo, è ovvio che alcuni allievi saranno condannati a ricevere dal gruppo un’immagine di sè molto svalutata. Costoro continueranno a sentirsi inadeguati non solo a scuola, ma generalizzeranno tale giudizio ad altri aspetti della vita. Sarà facile allora che la loro identità diventi fragile e che, non sentendo la stima dei compagni, sviluppino un senso di insicurezza nel gruppo. Molti comportamenti aggressivi dipendono proprio dalla percezione che il gruppo non sia un luogo sicuro ove sentirsi importante.
Ma in gruppo tutti sono in relazione e ciascuno è legato agli altri: se qualcuno ha delle difficoltà di apprendimento, il problema che riguarda tutti, non perché l’allievo in difficoltà rallenta il ritmo dell’apprendimento collettivo, ma perché il destino di ciascuno è importante in un gruppo. Si tratta di far percepire a ciascun alunno che solo in gruppo ci si può aiutare perché chi possiede più competenze può metterle a disposizione di chi in quel momento non le ha ancora sviluppate appieno.
Per creare il "Noi" l’insegnante deve far partecipe il gruppo classe del programma: gli allievi devono conoscere quali sono gli obiettivi su cui dovranno lavorare. Ovviamente ciascun insegnante lo imposterà a seconda dell’età degli allievi. Ne venga appesa anche in classe una copia ingrandita, in modo che il gruppo si senta partecipe del processo di cui è destinatario. Questo documento diventerà anche la base di verifiche periodiche per vedere se si rispettano i tempi e per dar modo a ciascuno di controllare a che punto si trova. Tali verifiche serviranno per modificare, in caso di necessità , la quantità , il ritmo di lavoro, la metodologia? Spesso, infatti, accade che l’insegnante dia per scontato che una metodologia a lui/lei cara non sia appropriata al gruppo o ad alcuni allievi. Solo confrontando ciò che si era deciso in sede di programmazione con l’effettivo risultato si può dar modo al gruppo (e non solo all’insegnante) di andare alla ricerca di ciò che non funziona e di possibili soluzioni.
L’attuale situazione invece vuole che l’insegnante preveda una serie di contenuti e proponga alcune scelte senza che gli allievi ne comprendano il filo conduttore e il perché. Per esempio, di fronte ad una situazione di rallentamento del ritmo di lavoro, la diagnosi viene fatta dagli insegnanti stessi senza consultare la classe, con il pericolo di non cogliere le vere motivazioni di quanto accade. In sede di programmazione all’inizio dell’anno è difficile prevedere come la classe reagirà o quali avvenimenti potrebbero rallentare l’avanzamento nel programma. Alle volte il desiderio dello stesso insegnante di dare il maggior numero di opportunità alla classe non fa valutare in modo realistico la quantità giusta per quella classe.
Il documento può essere adottato sin dalla scuola primaria, da quando gli alunni diventano più capaci di proiettarsi nel futuro. Esso diventa l’oggetto dell’alleanza di lavoro tra insegnante e classe, quello a cui fanno riferimento entrambi per valutare il processo che li accomuna, pur con ruoli diversi. Intorno ad esso ciascuno può collocarsi anche in base ai propri interessi: non possiamo pensare che gli allievi siano interessati ad ogni disciplina; ci sarà chi propende più per l’ambito umanistico, chi per l’ambito scientifico, e chi per quello manuale-espressivo-creativo.
Se l’insegnante adotta un’ottica sistemica è più disponibile a riconoscere ed accogliere la molteplicità di aspetti con cui si manifesta l’intelligenza, come Gardner ha messo in evidenza con la sua teoria delle "intelligenze multiple".
La valorizzazione del gruppo come luogo ove si incontrano e confrontano risorse individuali, messe al servizio di un obiettivo comune, crea in classe un clima sereno ed accogliente. Ogni allievo percepisce di essere considerato una risorsa comunque per il gruppo. Anche i ragazzi con profonde difficoltà , il fatto che il gruppo si attivi per far loro raggiungere gli obiettivi comuni, pur se in forma diversa, diventa un vero "apprendimento" di come nella vita la difficoltà diventi stimolo per far emergere e mettere a disposizione competenze, soluzioni creative, comportamenti di solidarietà concreti. Ogni volta che un compagno in difficoltà riesce a fare anche un piccolo passo diventa un successo comune: ciascuno si è impegnato nel processo. Nessuno deve sentirsi un peso all’interno della classe, nemmeno colui o coloro che fanno da freno al lavoro degli altri, perché anche lui o loro esistono e hanno il diritto di poter procedere, anche se più lentamente.
D’altra parte i contenuti disciplinari, pur avendo il giusto rilievo, non possono essere travasati senza alcuna modifica, ma rielaborati, masticati, riconfigurati, ristrutturati da ciascuno in modo personale. In questo modo la scuola diventa il luogo ove il sapere viene continuamente rielaborato e ricostruito da punti di vista diversi, come diverse sono le generazioni di studenti.
Il gruppo, in tal senso, sostiene e arricchisce il percorso formativo di ciascun allievo che sperimenta i suoi punti di forza e le sue fragilità . Ma i punti di forza li mette a disposizione di chi in quel campo è in quel momento più debole, e nelle sue fragilità viene sostenuto e aiutato da altri.
L’aiuto può necessitare di esperienze più specifiche tratte dal "Cooperative learning ", che prevede il mutuo insegnamento, il tutoring – in modo che la disomogeneità non diventi frammentazione e occasione di solitudine, bensì di co-educazione e arricchimento reciproco.