DISCERNIMENTO ECCLESIALE SULL”EUCARISTIA

DOC-1581. . Abbiamo già  pubblicato, sul n. 6/05, il contributo della Comunità  di Base di San Paolo di Roma al Sinodo sull’Eucrestia. Qui di seguito quello di "Noi siamo Chiesa", datato Natale 2004.

Nel 2005 la Chiesa cattolica romana dedicherò una particolare attenzione all’Eucarestia, tenuto conto che nella recente enciclica "Ecclesia de Eucharistia" Giovanni Paolo II chiede che tutta la comunità  ne colga l’importanza, "badando con ogni premura a non attenuarne alcuna dimensione o esigenza" (61). Per ragioni di brevità  ci permettiamo di formulare alcune domande propositive, dirette a tutti i cattolici e ai vescovi che parteciperanno al Sinodo mondiale sull’Eucarestia nel settembre 2005 in Vaticano. Ci sembra utile proporre questi interrogativi nella convinzione di quanto l’Eucaristia sia il punto centrale della vita di fede del credente e di tutta la comunità .

1.
Quasi tutti i Sinodi che si sono tenuti in Vaticano negli ultimi decenni sono stati caratterizzati dal fatto che i temi oggetto di discussione da parte dei vescovi partecipanti non venissero mai analizzati e dibattuti previamente nelle realtà  periferiche della cattolicità , quasi sempre tenute all’oscuro non solo degli interventi dei singoli vescovi, ma persino dei risultati dell’intero Sinodo.
Stante questa situazione, sarebbe auspicabile, in nome della trasparenza evangelica e dei diritti-doveri dei Figli di Dio, che il prossimo Sinodo sull’Eucarestia fosse preceduto da una ricerca che li coinvolga pienamente e profondamente, dato che impedire al Popolo di Dio di portare la propria esperienza su di un evento da cui dipende la propria vita spirituale equivale ad amputare la ricezione del mistero stesso del Sacramento e a disseccare la vita dell’intera comunità .
In particolare ci pare fondamentale che tutti i responsabili ecclesiastici e laicali promuovano nel corso del 2005 un ascolto attento dei cattolici in ogni singola realtà  (diocesi, parrocchia, seminario, Università  cattolica, comunità  di base, congregazione religiosa, pubblicazioni, ecc.), allo scopo di comprendere: 1) come vivano l’Eucarestia-messa, 2) quali riflessi lasci tale evento liturgico nella loro vita, 3) quali cambiamenti ritengano essenziali per adire sempre meglio al senso del sacramento. Tale ricerca può essere condotta sia in modo scientifico da equipe di esperti, sia in modo semplice e dialogale da responsabili ecclesiali dotati di una particolare capacità  di ascolto. è ovvio che la ricerca debba includere, oltre agli abituali frequentatori della messa domenicale, quella maggioranza silenziosa di cattolici che ha abbandonato la pratica sacramentale dell’Euca-restia, onde vagliarne attentamente le motivazioni.

2.
L’attenzione del Sinodo e della Chiesa nel corso del 2005 dovrebbe, a nostro modesto parere, servire a valutare se ed in quale misura i cattolici praticanti assumono l’impegno implicito nel sacramento, consistente nel fare della comunità  non una sola "anima", ma il "corpo reale e visibile del Cristo". Se questo è il senso di ogni "agape" cristiana, ci si domanda se la validità  e l’efficacia di una liturgia eucaristica debba essere individuata non nella purezza del rito, ma nelle azioni "visibili e reali" del corpo mistico ecclesiale, dato che
– la fede non serve a niente se non è accompagnata dai fatti (Gc 2, 20);
– l’unico culto essenziale e gradito a Dio è la pratica della giustizia e dell’amore (Mt5,23);
– non si può celebrare l’eucarestia se nella comunità  vi sono rivalità  o ingiustizie (1Cor 11,18);
– la condivisione del corpo di Cristo comporta una condivisione dei beni materiali (At 4,32-35).

Scendendo a più concrete analisi, la comunità  cattolica, incoraggiata dai suoi Pastori, ha un’occasione storica per riflettere non tanto sulla presenza reale del Cristo, ma se i fedeli diventano un solo Corpo. Probabilmente a causa di una eredità  culturale dualista di marca platonica, che ha comportato una idealizzazione dello spirito e una svalutazione del corpo, la Chiesa cattolica è sospinta ad interrogarsi se essa, come comunità , fa concretamente quanto disposto e suggerito dai più autorevoli evangelisti ed Apostoli, secondo cui essere un corpo cristico significa:
– amarsi gli uni gli altri, perché da questo sapranno che siete miei discepoli (Gv 13,35);
– gareggiare nello stimarsi a vicenda (Rm 12,10);
– correggersi l’un l’altro (Rm 15,14);
– salutarsi gli uni gli altri con il bacio della pace (Rm 16,16);
– edificarsi gli uni gli altri (1 Ts 5,11);
– confessare i peccati gli uni gli altri (Gc 5,16);
– perdonarsi a vicenda (Col 3,13);
– praticare l’ospitalità  gli uni verso gli altri (1Pt 4,9).

In particolare è opportuno che l’intera Chiesa si chieda se è possibile celebrare l’Eucarestia senza che, previamente, ogni cristiano abbia appianato i contrasti con il fratello-sorella, compresi quelli teologici con i fedeli di altre Chiese cristiane: "Se stai portando la tua offerta all’altare di Dio e ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia l’offerta davanti all’altare e vai a far la pace con tuo fratello; poi torna e presenta la tua offerta" (Mt 5,23-24). Questa prescrizione interpella le Chiese cristiane divise tra di loro, mentre continuano a celebrare eucarestie senza riconciliazione. Ma sono Eucarestie "nel" Signore?

3.
La ricerca sull’effettiva coerenza di milioni di assemblee eucaristiche che si tengono settimanalmente nel mondo è essenziale per comprovare se in esse si porta a compimento la "Storia della Salvezza", invertendo i canoni del "mondo", che prevede banchetti per i Ricchi Epuloni, mentre i poveri debbono accontentarsi degli avanzi.
Vale la pena di ricordare il martirio di Annalena Tonelli, la volontaria laica assassinata due anni fa in Somalia, quando scrive: "La vita mi ha insegnato che quell’Eucarestia che scandalizza gli atei e le altre fedi racchiude un messaggio rivoluzionario: ‘Questo è il mio corpo, fatto pane, perché anche tu ti faccia pane sulla mensa degli uomini, perché se tu non ti fai pane non mangi un pane che ti salva, ma mangi la tua condannà".
La cattolicità , agli inizi del terzo millennio, non può evitare di chiedersi se ed in quale misura l’assemblea eucaristica
– "si fa pane e sangue", condividendo la Vita attorno alla tavola del Signore, dove schiavi e padroni, ebrei e gentili, uomini e donne siedano da uguali;
– esperisce la presenza di Dio come una calda presenza amorosa che aiuta a cambiare la piramide dei Poteri e a costruire un nuovo ordine familiare, sociale, economico e politico fondato sulla non violenza, sul dialogo fiducioso con il nemico e sulla resistenza alla provocazione;
– celebra con Maria la festa dei poveri e dei disperati, cui viene annunciato non un Rosario di titoli celestiali ma il "Magnificat", in cui ella loda Dio, che "ha distrutto i superbi, ha rovesciato dal trono i potenti, ha rialzato da terra gli oppressi, ha colmato di beni i poveri, ha rimandato i ricchi a mani vuote". (Lc 1, 51-53).

4.
Una domanda che non può essere evitata per inquadrare correttamente l’Eucarestia riguarda la sua genesi e l’orizzonte storico in cui l’ebreo Gesù colloca quel famoso convito. Per lui la cena pasquale è memoria di una "Pasqua" molto terrena e concreta, quella ebraica, avvenuta un millennio prima ad opera di un Dio che non sopportava che un popolo fosse schiavo di un Faraone divinizzato. "Gli israeliti gemevano nella schiavitù e gridavano. Le loro grida di aiuto salivano fino a Dio, dal fondo dell’oppressione in cui giacevano. Dio ascoltò le loro grida e si ricordò della sua alleanza" (Es 2,23-24). La cena che Gesù vuole condividere con i suoi amici ed amiche serve a rendere attuale l’evento antico, per cui ogni commensale si considera personalmente salvato dalla schiavitù.
La domanda che dovrebbe risuonare in ogni assemblea di fedeli è, per l’appunto, se l’Eucarestia mantiene l’orizzonte storico e liberazionista di Gesù, e cioè se essa
– è memoria dell’Esodo, cioè di quel processo faticoso e contrastato che sigla l’Alleanza tra Dio e un popolo di schiavi e che Dio intende sottrarre al dominio disumanizzante di un Faraone;
– è segno di liberazione effettiva per gli schiavi e gli oppressi di oggi, e in quale misura essi vengono liberati dal Dio che si fa "pane" in un popolo di se-dicenti discepoli;
– è convivio di una famiglia umana, sul modello di quella giudaica, che si riunisce non intorno ad un altare ma ad una mensa, con i simboli propri di tale comunità ;
– è presieduta da un "presbitero", cioè da un "anziano", il quale, per indicare che chi ha maggiori responsabilità  è veramente un "servitore" non della Parola ma della comunità , si umilia fino a lavare i piedi dei fratelli e delle sorelle.

5.
Ogni Istituzione, come ogni liturgia, ha i propri simboli, che possono essere significativi o vuoti, vivificanti o mummificati. L’Eucarestia stessa contiene una straordinaria carica simbolica, che si è andata evolvendo nei secoli. A noi pare essenziale fare i conti con una domanda centrale: esiste una analogia tra l’assetto simbolico del convito di Gesù quello della Chiesa attuale? In particolare la riflessione ecclesiale non può evitare tre nodi problematici.

a) La santuarizzazione
L’Eucarestia è celebrata da secoli in un contesto sacrale: chiese, linguaggi, canti, orazioni, disposizioni delle persone, posizioni del corpo, paramenti, luci, calici, il tutto rigorosamente regolamentato dall’autorità  suprema, il papa.
Tale configurazione simbolica – è la prima domanda – mantiene una coerenza immediata con il convito di Gesù? Favorisce la presenza passiva di cristiani abitudinari o la partecipazione di discepoli del Signore? Vivendo in un contesto culturale in cui il pane esprime la quotidianità  del cibo e il vino l’eccezionalità  della festa, può l’ostia far pensare ad un cibo consueto e quotidiano? Pur nel debito decoro della celebrazione, possono paramenti e oggetti preziosi, oltre alla separazione tra "clero" e "fedeli", ricordare un festoso pasto di una comunità ?

B) Il sacrificio
Il canone della Messa e la letteratura teologica utilizzano un linguaggio simbolico che parla di "sacrificio", di "Agnello", di "espiazione", di "vittima che cancella tutti i peccati del mondo". A conferma di tale dimensione sacrificale, al centro del tempio si colloca un "altare", si parla di "ostia" (hostia=vittima), mentre il tutto avviene con la mediazione di un consacrato-consacrante, autorizzato a ri-attualizzare la presenza sacrificale di Gesù. La seconda domanda a tale riguardo potrebbe essere così formulata: esiste un plausibile e fondato collegamento tra il simbolo della Messa, fondato su vittima-altare-sacerdote, e quello utilizzato da Gesù, con la tavola imbandita nella cena ebraica e pasquale? Il simbolo induce sentimenti di docilità  e sottomissione, o attinge alla non- violenza contestatrice del profetismo e di Gesù?

C) La transustanziazione
Moltissime pagine appassionate sono state scritte nel corso dei due millenni su "come", "quando", "per quanti minuti", "ad opera di chi" e "come" il Pane e il Vino subiscano una "transustanziazione", diventando Corpo del Signore nel corso della celebrazione. Senza nulla togliere a queste dotte analisi, non comprendiamo perché la teologia, le encicliche, il canone della Messa e le migliaia di pubblicazioni che inneggiano al "Pane disceso dal Cielo" non spendano una parola sulla "transustanziazione" del fedele, come del celebrante. E qui si apre la terza domanda: il cambiamento di sostanza del Pane e del Vino in Corpo amoroso di Cristo si accompagna ad un cambiamento "sostanziale" del cattolico che partecipa al rito? La transustanziazione è un fatto che riguarda un po’ di Pane e di Vino, o coinvolge la vita di un popolo, facendolo diventare espressione vivente di un nuovo e concreto ordine di pace e di giustizia?

6.
Ci domandiamo se ogni eucarestia non dovrebbe contenere, oltre alle parole della "consacrazione", anche quelle del "tradimento". è significativo che non ci sia un solo Canone della Messa che riporti i brani dei tre Evangelisti, Matteo, Marco e Luca , i quali, immediatamente dopo aver descritto la Cena del Signore, propongono un drammatico capovolgimento di fronte. Dopo la cena, cantati i salmi della festa, Gesù dice ai discepoli: "Questa notte tutti voi perderete ogni fiducia in me. Perchè nella Bibbia è scritto: "Ucciderò il pastore e le pecore del gregge saranno disperse"?
Allora Pietro cominciò a dire: "Anche se tutti gli altri perderanno ogni fiducia in te, io non la perderò mai". E Gesù replicò: Io invece ti assicuro che questa notte, prima che il gallo canti, tre volte tu avrai detto che non mi conosci. Ma Pietro rispose: "Non dirò mai che non ti conosco, anche se dovessi morire con te". E così dissero tutti gli altri discepoli. (Mt 26, 31-35).
Il nostro auspicio è che vicino ad ogni assemblea vi sia un "gallo". In modo che la celebrazione eucaristica sia memoria di un "tradimento" che continua. Utile per attutire toni trionfalistici e per guadagnare in umiltà  e realismo.

Natale 2004

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