IntervistaPittau: "L’immigrazione è scritta nel nostro destino"

ROMA – Per Franco Pittau, che guida l’equipe del dossier statistico immigrazione della Caritas, l’immigrazione è scritta ormai nel destino dell’Italia. Solo capendo questo si potrà cambiare mentalità nei confronti degli stranieri, e arrivare a una piena integrazione.

Sono immigrati entrati per vie d’accesso non soggette alla programmazione nazionale, come i ricongiungimenti familiari, che sono stabiliti dal diritto internazionale.
Ormai, anche quando facciamo programmazioni molto restie, i flussi d’ingresso sono consistenti perché gli stranieri approfittano di altre leve per venire qui. L’anno scorso molti sono entrati per lavoro stagionale, e questi non contano per l’inserimento definitivo, ma pochi sono venuti per lavoro fisso. Sessantaseimila persone sono però entrate per ricongiungimento familiare: se li aggiungiamo a chi è entrato per altri motivi arriviamo a 107mila 500. Questo è un dato che dovrebbe far pensare, dobbiamo renderci conto che l’immigrazione è scritta nel nostro destino.

Certo, e i ricongiungimenti, anche se non l’unico, sono il segnale più importante. Chi dice "voglio venire con la mia famiglia" dice anche "questa è la mia patria". Anche se non ha la cittadinanza italiana dice "ho qui il mio lavoro, i miei interessi, le mie amicizie, le scuole per in miei figli". Questo ci dovrebbe rendere orgogliosi, invece vedo che non sempre è così. La stabilità è un fattore di sicurezza, pacificante. Un’immigrazione enormemente fluttuante sarebbe al contrario un fattore di insicurezza. Speriamo di capirlo tutti.

Nessuna polemica. Uno studioso che utilizza i dati di una fonte non critica mai la fonte nei suoi risultati, semmai fa un’analisi critica dei criteri in rapporto ad altri criteri. Quest’ analisi mette in evidenza la maniera e gli obiettivi per cui vengono raccolti i dati. L’obiettivo del ministero dell’Interno è sapere quanti stranieri sono titolari del permesso di soggiorno, noi vogliamo invece stimare il numero complessivo di stranieri.
Partiamo quindi dai dati del Viminale, ma li dobbiamo integrare, perché quella banca dati non scheda singolarmente i minori: questo esula dai compiti del ministero degli Interni, se non in alcuni casi particolari. Il fatto di aver aggiunto i minori nel calcolo ha spinto qualcuno a titolare "La Caritas corregge il ministero degli Interni"…

No, al massimo abbiamo integrato quel dato. La nostra poi è una stima, non abbiamo una banca dati che ci dica se è giusto o sbagliato. Spero che il caso sia chiuso, lo dico con grande serenità, ma questo dimostra che l’immigrazione è un argomento a fior di pelle. Al ministro degli Interni siamo molto riconoscenti, è un uomo aperto che non sempre trova conforto nei partiti di governo.

I dati della Camera di Commercio registrano tutti gli imprenditori nati all’estero, non solo quelli di cittadinanza straniera. Nel calcolo rientrano quindi anche tanti imprenditori italiani, emigranti o figli di emigrati, che sono ritornati in Italia, ad esempio, dal Nord Africa o dal Corno d’Africa. Con pazienza certosina la CNA, che ha curato questa parte del dossier, è andata a consultare quei dati scheda per scheda. E chi ad esempio è nato a Tripoli, ma ha la cittadinanza italiana, è stato scartato dal calcolo. Si arriva così a 70mila imprenditori.
Tra l’altro, il numero di 140mila imprenditori stranieri che continua a circolare non è coerente, perché non ci sono 140mila titolari di permessi per lavoro autonomo, e comunque non tutti quelli che sono titolari di permessi per lavoro autonomo sono titolari di impresa.

Interessante e molto dinamica. Abbiamo confrontato il totale degli imprenditori italiani e stranieri tra un anno e l’altro, e abbiamo visto che mentre il totale resta invariato, tra i cittadini stranieri c’è un’esplosione. Probabilmente a molti stranieri riesce quasi naturale mettersi in proprio, altri si stufano di cambiare dieci lavori in un anno e dicono"ho un gruzzoletto, tento questa via". Senza spese per lo Stato creano lavoro. Se tutti facessero così saremmo un Bengodi.

Nei numeri si legge un’integrazione in chiaroscuro. Nella stessa città, nella stessa organizzazione, addirittura nello stesso partito possono convivere atteggiamenti chiusi all’immigrazione ed atteggiamenti di grande apertura. Io penso però che sia un problema di mentalità.
Molti politici, amministratori e opinion makers coltivano l’idea sbagliata che questa sia un’immigrazione precaria, e quest’idea attraverso i mezzi di informazione si riflette sulla gente comune. Il Dossier Immigrazione mette la gente in grado di pensare con la propria testa e piano piano di condizionare anche i propri politici. Quando ci sarà la giusta mentalità verso l’immigrazione potremo sbagliare una volta, ma la seconda prenderemo la via giusta.

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