Mica facile, fare il calciatore. Giochi da quando sei un ragazzino, tra prodezze e spintoni nei campetti di periferia, finché un bel giorno iniziano addirittura a pagarti. Per le prodezze, dicono, non per gli spintoni. Resta tutto uguale, ma tutto cambia. Sponsor e belle compagnie, ingaggi milionari, la tua faccia sulle prima pagine dei giornali e sulle magliette dei tifosi. E magari anche sulla copertina di un libro che in realtà avrebbero scritto gli altri, quelli che ti prendono in giro per come parli, però se sei furbo tu ci metti la firma, ci metti la faccia, insomma: anche quella diventa roba tua. Un mondo provvisorio, fasullo e irresistibile. Per farlo crollare può bastare poco, come sa bene Francesco Totti, che in una sola – e non proprio memorabile – giornata è passato dal ruolo di Pupone nazionale a quello di Sputone europeo. Sappiamo com’è andata: il provvedimento esemplare, la squalifica, gli azzurri che se ne tornano a casa e Totti insieme con loro, giusto in tempo per accorgersi che, sui cartelloni pubblicitari, a fianco della sua faccia fioriscono nuove battute. E no, questa volta non è il caso di raccoglierle in volume.
Mica facile, tornare a fare il calciatore dopo un errore come questo. Un mondo che se ne va in pezzi, il sospetto che nessuna prodezza potrà più cancellare il ricordo di Italia-Danimarca, Europei del 2004. «Totti chi, quello dello sputo?». Dalle stelle agli inferi, insomma. E quando si è a terra, più facile è l’autocritica. Forse è per questo che, nei giorni scorsi, il Pupone ha ripiegato la maglietta che indossava durante quella partita da dimenticare (in tutti i sensi, non escluso quello agonistico) e l’ha fatta recapitare a un sacerdote romano insieme con un biglietto: un bizzarro ex voto al contrario, da portare in segno di pentimento al Santuario del Divino Amore. Un atto di d evozione elementare e per certi aspetti addirittura primitivo nel suo confondere causa ed effetto («Pgr» significa «per grazia ricevuta», non «per guadagnare rispetto»…), compiuto però in modo sufficientemente discreto da apparire, se non altro, sincero. Troppo comodo? Può darsi, ma nell’universo complesso e incomprensibile nel quale Totti si è mosso fino a questo momento, nel Paese dei Balocchi dove ti pagano per giocare (non era questa, in definitiva, la promessa dell’Omino di Burro?), la dedicazione della maglietta sembra introdurre, sia pure in modo paradossale, un benefico principio di realtà.
Sarà un caso, ma in questo 2004 cade pure il centenario del Peter Pan di James Barrie, la storia ormai proverbiale del bambino-folletto che rinuncia a crescere anche se, in fondo in fondo, intuisce che una vita da adulto sarebbe la più straordinaria delle avventure. Chissà, forse anche per il Pupone – e per gli altri suoi compagni di sventura portoghese – è finalmente venuto il momento di diventare grandi. Mica facile, è vero. Però alla fine ne vale sempre la pena.