Il prato è incolto, abbandonato. Ci sono rifiuti e due alberi malmessi. Attorno alcuni palazzoni ancora non finiti. Davanti uno stradone dove scorre un traffico intenso e disordinato. Immagini di una qualunque periferia. Invece qui, tra pochi mesi, si compierà un atto dirompente. Inedito. Forse, per qualcuno, scandaloso. Per altri, un gesto di speranza e di riscatto. In quel prato anonimo sorgerà una nuova chiesa, una nuova parrocchia. La novità , lo scandalo, il riscatto è che quel terreno, quel prato, era di un boss della ‘ndrangheta, della tristemente nota famiglia Piromalli. Era, perché è stato sequestrato il 27 marzo 1984, definitivamente confiscato il 7 aprile 1994, destinato al comune di Gioia Tauro il 26 aprile 1999. Per tutti questi anni è rimasto lì, abbandonato. Poi la Diocesi di Oppido-Palmi e il suo vescovo Luciano Bux hanno deciso di dare un segno. Concreto. Visibile. In questa terra molto segnata da violenza e illegalità . Una chiesa su un terreno acquisito con il sangue, con il traffico di droga, con l’estorsione. La Casa del Signore sul terreno strappato alla ‘ndrangheta, non più "cosa loro" ma di un’intera comunità . La prima chiesa costruita in Italia su un bene confiscato alla criminalità organizzata. Si comincerà a settembre, piantando nel prato una grande tenda. Poi verrà la chiesa in muratura. Ma, intanto, si vuole subito dare quell’importate segno. Non l’unico. Poco più avanti, da alcune settimane sono cominciati i lavori per ristrutturare un palazzo di quattro piani. Ospiterà la Caritas, l’istituto di Scienze religiose e altri uffici diocesani, destinati in particolare al laicato. Anche questo edificio era di un clan malavitoso. Per tutti è "palazzo Molè", dal nome della famiglia da sempre alleata dei Piromalli: 2400 metri quadrati più gli scantinati, sequestrato nel 1984, abbandonato per anni, sfregiato dai malavitosi come risposta allo "sgarbo" subito: lo Stato me lo toglie e io lo distruggo. Un classico, in Calabria come in Campania , a Gioia Tauro come, lo abbiamo raccontato mesi fa, a Casal di Principe. Anche per questo è stato scelto dalla diocesi. Un ulteriore segnale. Così come la decisione di destinarlo alle attività per i laici. E ora si lavora, cominciando dal garage che, tra pochi giorni, ospiterà il deposito della Caritas, un preziosissimo strumento per gli interventi di sostegno agli emarginati della zona. Una storia positiva. Ma non facile. Dai tempi lunghi. La solita burocrazia, così come denuncia il vescovo. Una sensibilità pubblica come minimo poco pronta. Diffidenza e paura. Qui la ‘ndrangheta non è certo vinta. Vive e prospera. "Ha interesse a non avere i riflettori puntati – denuncia don Pino De Masi, vicario generale della diocesi -. è ‘ndrangheta imprenditrice. Investe i soldi della droga in aziende, in terreni. Fa studiare i propri figli, li fa laureare e li mette alla guida delle imprese". E nell’edilizia. Proprio come qui su questa lunghissima "statale 111", quella che scende dall’Aspromonte a Gioia Tauro. Tutti o quasi i palazzoni, anche lussuosi, sono proprietà "loro", dei boss. Anche sul prato, circa cinque ettari, che ospiterà la nuova chiesa doveva essere costruito un palazzo. Subito a fianco ce n’è uno verde. Enorme. Al pianterreno c’era una concessionaria di auto. Poi è stata confiscata, sempre ai Piromalli. Ma, come è evidente osservandola, gli altri piani sono ancora abitati. Abusivamente. E nessuno interviene. Anche questo, purtroppo, è un segno del controllo del territorio. Ma ora lì a fianco sorgerà la chiesa. E qualcuno storcerà sicuramente il naso. Soprattutto dopo anni di immobilismo. Sono infatti 159 i beni confiscati alle cosche nella piana di Gioia Tauro (82 terreni per un totale di 141 ettari e 77 edifici). Solo 98 sono stati attualmente destinati, come previsto dalla legge, o ai Comuni o a iniziative sociali. Ma in gran parte ancora non utilizzati. Così più della metà dei terreni e 36 edifici risultano ancora occupati dai boss o da componenti delle "f amiglie". Ecco allora un’altra dirompente iniziativa della Chiesa locale in stretta collaborazione con "Libera" l’associazione fondata da don Luigi Ciotti. L’ufficio diocesano per la pastorale sociale e del lavoro, nell’ambito del Progetto Policoro della Cei, e "Libera" hanno lanciato un bando di concorso: quindici giovani verranno formati e poi costituiranno una cooperativa che andrà a gestire i terreni agricoli strappati alle cosche, già assegnati all’associazione di volontariato "Il Samaritano" di Polistena. Un’iniziativa, denominata "Libera Terra", dal doppio significato: da un lato rilanciare concretamente la difesa della legalità , dall’altra creare posti di lavoro in una zona dove la disoccupazione tocca punte del trenta per cento. E dove, denuncia ancora don Pino, "la ‘ndrangheta fa lavorare i giovani disoccupati nello spaccio della droga o nella raccolta delle "mazzette" del racket". Il progetto è già un successo con 121 domande presentate: una prima vittoria contro la paura. Ed eccoli i bellissimi terreni non più "cosa loro". Terreni che davano soldi sporchi alle cosche e che ora garantiranno un lavoro pulito a tanti giovani. I primi 17 ettari sono nelle campagne di Gioia Tauro. C’è un intenso profumo di zagare, i bianchi fiori degli aranci che spiccano nel verde brillante delle foglie. Agrumeti bellissimi, ricchi, curati. Evidentemente "qualcuno" ha continuato a coltivarli malgrado la confisca. Così come negli altrettanti splendidi uliveti a Castellace, frazione di Oppido Mamertina, feudo incontrastato dei Mammoliti. Dodici ettari che attendono ora il lavoro dei quindici giovani della prossima cooperativa. Così come nei cinque ettari della cosca degli Albanese nel comune di Rizziconi. Qui nascerà molto presto un nuovo "olio della legalità ". Certamente nella Pasqua 2005 o 2006 sarà anche benedetto come "olio santo", come già accade per quello prodotto nel terreni siciliani portati via a Cosa nostra. E come tale sarà usato anche nella nuova parrocchia. Il cerchio così si chiude. Da segno a segno. Da sfida a sfida. Per un nuovo futuro senza paura.