La madre di tutte le regolarizzazioni rischia di trasformarsi in un gigantesco bluff.
Buona parte degli eroici 700mila, consumatisi tra mille sacrifici prima di mettersi in tasca un permesso di soggiorno, potrebbe presto annegare di nuovo nel mare magnum della clandestinità.
Ora che quei sudatissimi permessi iniziano a scadere, i lavoratori che si mettono in fila in Questura per il rinnovo si trovano a fare i conti con una norma che nei giorni febbrili della corsa alle sanatoria pochi avevano preso in considerazione: i permessi di soggiorno dei regolarizzati possono essere rinnovati solo in presenza di un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato o determinato di durata non inferiore ad un anno.
In altre parole, la legge che ha dato il via alla regolarizzazione nega il rinnovo a chi si è messo a lavorare in proprio o è riuscito a strappare al suo datore di lavoro solo un contrattino della durata di qualche mese. Condannandolo, è questo il paradosso, a tornare irregolare.
Passata la breve parentesi (6 mesi) del permesso per attesa occupazione senza aver trovato il "lavoro giusto", bisognerà uscire dall’Italia e sperare di ritornarci attraverso le strettissime maglie del prossimo decreto flussi.
Anche se il grosso delle domande di rinnovo arriverà tra qualche mese, non è difficile capire che sono in tanti a rischiare.
Gran parte dei regolarizzati ha sborsato di tasca propria il contributo forfetario per mettersi in regola. In attesa della convocazione, tanti hanno continuato anche a pagare ogni mese i contributi al posto del datore di lavoro. Una volta preso il permesso di soggiorno mettersi in proprio è stato quindi l’unico modo per sottrarsi a questa rapina.
Anche quando i "padroni" sono stati più onesti, gli stranieri si sono dovuti comunque adeguare al mercato del lavoro italiano, che negli ultimi anni ha visto diffondersi sempre di più contratti a breve termine (come per gli interinali) e tipologie diverse dal classico lavoro subordinato.
È il caso, ad esempio, dei "contratti di collaborazione a progetto" (prima detti di collaborazione coordinata e continuativa): il padrone c’è sempre, inutile prendersi in giro, ma paga meno contributi. Per le Questure si tratta però di lavoro autonomo e quindi, a voler applicare la legge, questo contratto non dà diritto al rinnovo per i regolarizzati.
Come spesso accade in questo Paese, la situazione non è uguale dappertutto.
Se alcune Questure (ad esempio Parma, Reggio Emilia e Brescia) stanno bloccando i rinnovi, altre (vedi Roma, Genova o Reggio Calabria) hanno scelto di considerare i permessi di soggiorno dei regolarizzati alla stregua di quelli ordinari, e quindi rinnovano senza problemi anche a chi ha iniziato un’attività in proprio o è stato assunto per meno di un anno.
Si chiude insomma un occhio, ma almeno non si creano discriminazioni tra un lavoratore e l’altro.
Perché considerare la regolarizzazione come una marchio che non va più via?
Purtroppo, a lavorare nella città giusta, ci vuole fortuna. Forse tra poco non basterà neanche quella.
Tante Questure hanno infatti congelato i rinnovi, inviando quesiti al ministero dell’Interno per sapere come regolarsi. Da un momento all’altro potrebbe arrivare una circolare esplicativa che obbligherà tutti a comportarsi allo stesso modo.
Inutile aspettarsi buone notizie: il Viminale dirà di attenersi alla legge letteralmente, e migliaia di onesti lavoratori, dopo un anno di illusione, torneranno semplici braccia da lavoro nero.
Alla faccia di questa grande, ma brevissima, regolarizzazione.