Nel giorno della memoria, il ricordo della Shoah perpretata ai danni delle persone con disabilità .

Il ricordo diventa memoria quando incontra le storie e i volti dei sopravvissuti. Senza occhi capaci di restituire l’orrore che hanno visto, ricordare è più difficile. Non esistono testimonianze dirette su quanto accadde ai bambini e agli adulti disabili durante gli anni del nazismo. Non esistono sopravvissuti, non sono mai esisti come tali. Le persone con disabilità , o presunte tali, venivano fatte morire di fame o uccise con i farmaci. Tutte e subito. Per questo se parla così poco.

"Sulla deportazione dei disabili non c’è una memorialistica del ricordo come per gli ebrei", spiega Michele Pacciano, giornalista, disabile, profondo conoscitore dell’ "altra Shoah", la prima in ordine di tempo. "Chi sa ha il dovere morale di raccontare. Ai ragazzi delle scuole parlo di me, di quello che sarebbe successo se fossi nato in Germania nel 1920, della probabile diagnosi di idiotismo, dei centri di uccisione. La disabilità  è angoscia e peso, è una proiezione mancata su se stessi in cui si nasconde il pregiudizio. Il disabile non fa paura solo quando è integrato, mentre la disabilità  psichica terrorizza".

"Quelle dei disabili sono vite indegne di essere vissute", è stata la sentenza del Fuhrer, così che la macchina del Reicht lubrificò i suoi ingranaggi sulla la pelle dei bambini nati con delle deficienze, accertate da oltre 10.000 medici e paramedici sulla base delle conoscenze sanitarie del tempo e sull’ideologia dell’essere inferiore. Furono loro le prime vittime delle teorie eugenetiche, le cavie su cui sperimentare i metodi di sterminio. Dopo i disabili, fu la volta degli zingari, degli omosessuali, degli ebrei. "Tra il dicembre del ’39 e il gennaio del ’40 – continua Pacciano – 16 disabili ambosessi, fisici e mentali, furono prelevati da diversi ospedali e condotti nell’ex prigione di Brandeburgo, lì dove il Reicht inaugurò la prima camera a gas".

Le ricerche di Pacciano, eseguite per conto del Segretariato sociale della Rai, ripercorrono la storia dell’offensiva nazista nei confronti delle persone con disabilità , cominciata nel 1933 con l’introduzione della sterilizzazione e la riduzione del livello di assistenza. La legge sulla salute coniugale, che impediva i matrimoni e la procreazione tra persone disabili, è del 1935. "Le pratiche di sterilizzazione – spiega il giornalista – furono improntate più a un criterio di utilità  sociale che a una vera e propria difesa della razza. Così come lo sterminio fu pianificato in un un’ottica essenzialmente economicistica: su base decennale, avrebbe fatto risparmiare all’erario tedesco qualcosa come 885.439.980 marchi, senza contare il mancato esborso di spese alimentari e di mantenimento".

Si cominciò con l’eutanasia infantile dei bambini con disabilità  per approdare al "Progetto action T4", nome in codice di un’operazione classificata come top secret, partita formalmente dalla cancelleria privata di Hitler il 15 ottobre 1939 e conclusa, solo formalmente e per motivi di opportunità  diplomatica, nel ’41, dopo le pressioni della Chiesa protestante e cattolica. In quegli anni, 70.000 cittadini tedeschi adulti definiti disabili in base a una sommaria diagnosi chimico-biologica, furono soppressi nei centri di uccisione. Negli ospedali e nelle cliniche statali, dal ’33, più di 5.000 neonati e bambini fino a 3 anni furono "sottoposti a trattamento". La parola uccisione era troppo compromettente anche nei documenti riservati. Li si lasciava morire per inedia, riducendo lentamente le razioni di cibo, o con dosi letali di barbiturici nel tè. Il sedativo "luminal" era il più usato, oltre al sonnifero "veronal". Per chi resisteva, c’era morfina-scopolamina. Non una visita medica per loro, solo una sentenza a procedere, con dei moduli sanitari come alibi: il "+" era per le vite da includere nel programma, il "-" per chi si salvava.

"I medici dei campi di uccisione – continua Pacciano – furono i quadri dei campi di sterminio. E con la guerra sparirono tutte le distinzioni. Ai disabili toccò la stessa sorte delle altre categorie deboli. In Russia, i disabili venivano freddati in strada durante i rastrellamenti. Uomini e donne che restano fuori dai conti ufficiali, insieme alle morti provocate con le iniezioni letali, prima e dopo le uccisioni di massa.

"I mangiatori inutili, come venivano considerati i disabili, erano sottoposti a sevizie e violenze, scariche elettriche per vedere le reazioni del cervello. Erano sventrati per analizzare l’apparato digerente e vittime di crimini sessuali commessi dal personale infermieristico. Frida Tardoni, triestina, subì più e più volte violenza carnale. Fu considerata disabile, oltre che badogliana. Soffriva di un disadattamento dovuto alla guerra. Non era l’unica".

Vedi sull’argomento: http://www.romacivica.net/anpiroma/deportazione/deportazionedisabili.htm

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