Ferzan Ozpetek è un uomo che coltiva l’indistinzione. Lo si intuisce vedendo che sulla porta di casa il suo nome è scritto due volte, in caratteri latini ed ebraici, mentre all’interno una grande statua della Madonna convive con le immaginette di un asceta turco. Se ne ha conferma dopo due ore di una conversazione ondivaga e strana in cui Ozpetek ha glissato sulle definizioni e insistito sulle sfumature. Del resto, perché aspettarsi nettezza dal regista che è riuscito come pochi a rappresentare la mescolanza delle identità ? In quattro film, il più celebre dei quali resta "Le fate ignoranti", Ozpetek ha infatti raccontato un nuovo tipo di melting pot, non più semplicemente etnico e culturale, ma anche sessuale ed emotivo. La sua condizione di orientale trapiantato in Occidente ha probabilmente giocato a suo favore, dandogli una vista più libera sul mutamento dei tempi. Una vista che è stata paragonata a quella di Pedro Almodòvar. Ma quando gli dicono che somiglia al grande spagnolo, lui un po’ si compiace e un po’ si offende.
"Figuriamoci, mi fa onore. è un grande maestro".
"Non mi piace che si pensi che lo imito. Ho conosciuto Almod6var durante una festa a Los Angeles, aveva visto "Il bagno turco" e gli era piaciuto da pazzi. Gli ho raccontato la trama delle "Fate ignoranti" e abbiamo scoperto di aver vissuto, lui a Madrid ed io a Roma, in palazzi di quartieri popolari abitati da persone simili. Comunque ognuno ha il suo mondo. Dove starebbe la somiglianza?".
"Ma io non racconto mai amori omosessuali!".
"No, io rappresento semplicemente la sessualità . La gente si disorienta quando dico che non esiste l’eterosessualità come non esiste l’omosessualità e sostengo che i sentimenti viaggiano al di sopra delle definizioni sessuali. Lei è sicura che domani non si innamorerà di una donna? Io no. Perchè non distinguo un uomo, una donna, un eterosessuale, un omosessuale, come non distinguo il cibo".
"Probabilmente disturba il mio modo di essere trasversale e di non accettare steccati. E, viceversa, a me non piace l’organizzazione della diversità . Che senso ha dividerci secondo i comportamenti sessuali e farne battaglie di bandiera? Quando, per esempio, si parla di coppie di fatto o di adozioni, ci si deve riferire ai diritti di tutte le persone. L’adozione è una questione di responsabilità , non una questione di sesso".
"Non lo so, forse la mia famiglia che è stata grande e complicata. Con una nonna affascinante che riesce a divorziare durante l’impero ottomano e sposa due pascià . Una madre volitiva che divorzia per sposare mio padre, poi divorzia anche da lui ma conti-nua ad abitarci insieme, in stanze separate, per tutta la vita. Una sorella bella che diventa miss Turchia, si sposa, divorzia tre volte e ora vive sola".
"Guardi che mica si va ancora sui cammelli. Da quando la religione ha confuso le cose, gli occidentali tendono ad assimilare i turchi al mondo arabo. Ma il nostro è un paese molto avanzato e civile".
"Per cercare il nuovo, per il sogno del cinema. Sono venuto a Roma a 17 anni, con la testa piena di immagini dei film visti nell’infanzia e le orecchie ancora cullate dalle voci delle mie donne. Ricordo il loro conversare, le vicende di famiglia narrate tante volte. Per me era lo stesso incanto dei racconti delle "Mille e una notte". Forse viene da lì il mio bisogno di costruire storie".
"C’è mio padre. Faceva il costruttore. Oggi è un vecchio di 83 anni che non ricorda più chi è stato. Qualche volta mi riconosce, qualche altra mi parla di Beatrice di Dante che è passata a trovarlo. è molto doloroso vedere una mente che svanisce nei dispetti della memoria".
"Mi sono ispirato soprattutto a lui, ma in parte anche a tutti quei vecchi desolati che, nel mio quartiere, cercano qualcosa nei cassonetti della spazzatura. La vecchiaia, il passaggio del tempo, è sempre stato un mio incubo. Quando montavo le scene di Girotti, ogni tanto scappavo al bagno a piangere".
"Sui sentimenti che avevo messo in scena, su quell’uomo vicino alla morte che può tornare indietro nel tempo e sentire ancora il rumore del treno dei deportati. Ma piangevo anche sulla giovane donna vicino a lui che non sa trovare la sua strada. Qualche volta mi sembra che qualcuno stia scherzando con tutti noi. Ci fa assaporare la vita e poi ci dice: "Ora basta, è finita"".
"No, è stato l’insuccesso".
"Quello di "Harem suare", il mio secondo film. Il pubblico non l’ha accettato e io mi sono sentito perso".
"La sto ancora facendo, ci vado una volta alla settimana. è una terapia del comportamento, non va troppo in profondità . All’inizio il mio analista mi faceva ripetere in continuazione: "Io sono un bravo regista". Era un esercizio contro l’insicurezza".
"Credo di sì, perché poi siamo passati a riunire in una stessa persona l’uomo e il regista. Io mi sentivo sempre scisso, come se Ferzan stesse a guardare quell’altro Ozpetek che faceva il regista. Oggi mi sento uno solo e posso vantami del lavoro che faccio. è come se finalmente avessi gli occhi blu".
"Non posso proprio dirlo. Per quattro anni, mentre facevo l’università , sono stato mantenuto dai miei genitori. Poi ho fatto piccoli lavori, mentre mi proponevo ai giovani registi del cinema italiano come assistente volontario. Sono stato fortunato: il primo a chiamarmi è stato Massimo Troisi. Il resto è venuto da sè, anche se lentamente. Sa qual è il mio vero talento?".
"Lasciarmi afferrare dalle cose, accettare le intuizioni creative senza farmi troppe domande. Pensi che dopo la fine del mio ultimo film, centrato sulla deportazione degli ebrei romani, ho saputo che nello sgabuzzino cieco dietro la mia camera era stato nascosto un ebreo per un intero anno. Ora farò un film che si chiama "Cuore sacro". Lo girerò a Napoli, parla di denaro e religione".
"A modo mio, sì".
"Non ho avuto un’educazione religiosa quindi non conosco le regole di nessun culto. Però ho un gran miscuglio di cose nella testa. Mi piace l’atto di accendere una candela nelle chiese, entro volentieri nelle moschee, sono affascinato dall’ebraismo. Ma ho visto veramente Dio quando sono andato dall’otorino".
"Avevo un’otite e il medico mi ha fatto vedere l’interno del mio orecchio in schermo. Un meccanismo perfetto, una sincronia che solo una mente può aver inventato. Mi sono voltato verso il dottore e ho esclamato: "Ma come si fa a non credere in Dio?". Lui rideva, rideva, ma io avevo capito".
"Per me non è mai stato un problema, sia quando non lo avevo, sia adesso che ce l’ho. Ho comprato il mio piccolo appartamento e sogno di comprare a poco a poco tutto il palazzo dove vivo, nel quartiere Ostiense che è sempre stato il mio. Vorrei che alla mia morte andasse agli studenti di cinematografia che, come me agli inizi, non sanno dove abitare".
"Penso alla morte da quando ero piccolo. E sento anche il bisogno di dare un senso che faccio. Quando sono andato in India molti anni fa avrei voluto essere il cibo. Prendevo il cestino della produzione e 40 occhi mi guardavano fissi. Dividevo tutto con tutti, anche con le mucche. A loro davo il cartone".
"È un po’ così. Anche se vivo pienamente gli affetti e il lavoro, mi sento in colpa per chi non è felice. Il mio analista mi prende in giro e mi dice che sono un mix tra Madre Teresa di Calcutta e Maria Pia Fanfani. Lui se la ride ma a me sembra un complimento.
SCHEDA
Ferzan Ozpetek nasce a Istanbul il 3 febbraio da una famiglia della borghesia benestante. Il padre Adman è un costruttore. La madre Nesrin, al suo secondo matrimonio, è un’ex soprano oggi pittrice. Ferzan è il più piccolo di quattro fratelli.
Finisce il liceo in una scuola inglese e parte subito per Roma.
Si iscrive alla facoltà di Lettere dove studia Storia del cinema. Lasciata l’università a pochi esami dalla laurea, frequenta i corsi di Storia dell’arte e del costume all’Accademia di Navona e quelli di regia all’Accademia d’arte drammatica Silvio D’Amico.
Dopo qualche particina da attore, comincia a lavorare nel cinema come aiuto-regista di Massimo Troisi ("Scusate il ritardo") e di Maurizio Ponzi ("Sono contento").
Continua a collaborare con Ponzi in quasi tutti i film di questo periodo, poi è aiuto di altri registi tra cui Lamberto Bava, Ricky Tognazzi, Francesco Nuti, Sergio Citti e Marco Risi.
Realizza il suo primo film, "Il bagno turco", ottenendo subito un buon risultato di pubblico e di critica.
Il film successivo, "Harem suare", non ha troppo successo al botteghino, ma piace alla critica. Invitato ai festival di Toronto, Palm Spring e Londra, è venduto in 30 paesi.
Con "Le fate ignoranti", scritto come il precedente e il successivo assieme allo sceneggiatore Gianni Romoli, Ozpetek fa il salto verso la grande notorietà . Presentato in concorso al Festival di Berlino dove ha un’ottima accoglienza, il film ottiene poi quattro Nastri d’argento.
"La Finestra di fronte", ultima interpretazione di Massimo Girotti, delicato film di sentimenti e di memoria, vince cinque David di Donatello ed è un successo internazionale. In questi giorni Ozpetek è a Istanbul per la prima turca del film.