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Il Dott. Di Sauro apre il proprio intervento sul tema Handicap e sessualità  sottolineando il crescente interesse verso l’argomento, non solo da parte di chi è direttamente coinvolto come operatore ma anche da parte dei mezzi di comunicazione. Le ragioni di tale interesse risiedono in cambiamenti a livello socio-culturale, come il crollo di alcuni tabù sessuali, che hanno avuto delle ripercussioni importanti nella coscienza sociale relativamente ai diritti dei portatori di handicap, diritti che devono "tendere verso il più possibile". Una ulteriore conseguenza di tali cambiamenti è stata la crescente domanda formativa da parte degli operatori e delle famiglie dei disabili, cui ha fatto seguito una sempre maggiore disponibilità  di offerta formativa da parte degli esperti. Solo recentemente però, grazie all’evoluzione epistemologica e teorica all’interno delle discipline che si occupano dell’argomento, si è proposto un approccio alla sessualità  del disabile, non più secondo una riduttiva ottica assistenzialistica, ma come possibilità  di promozione e di crescita umana.
Dal punto di vista sociale si rileva però che, nonostante il cambiamento d prospettiva che ha determinato il passaggio da un atteggiamento di negazione delle esigenze sessuali di una persona in situazione di handicap ad una maggiore sensibilità  verso tali esigenze, non sono state ancora superate le resistenze che impediscono una vera accettazione della espressività  sessuale del disabile. Le ragioni di tali difficoltà  risiedono in una visione biologistica della sessualità , intesa come esperienza naturale/organica in cui hanno poco spazio fattori affettvi, relazionali e sociali, e che è pertanto fruibile solo da un corpo sano e funzionale. Questa visione rimanda inevitabilmente a due aspetti intercorrelati: la dicotomia natura/cultura e la dicotomia corpo oggetto-corpo soggetto. La prima determina una identificazione della persona disabile come portatore di un complesso sintomatologico organico, conseguenza di una affezione organica prenatale, natale o postnatale e oggetto di intervento esclusivo della medicina. Le seconda dicotomia rimanda invece ad una visione dualista dell’uomo che postula la separazione tra il corpo e lo spirito. Queste dicotomie sottendono una visione della sessualità  e della disabilità  fortemente ancorata alla condizione biologica, che lascia poco spazio a interpretazioni più complesse e integrate, secondo le quali l’imprescindibile aspetto biologico viene arricchito di senso e di significato solo se inserito all’interno di una prospettiva relazionale e culturale. Sulla base di tali presupposti e assumendo la definizione di sessualità  proposta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità  secondo cui "la salute sessuale è l’integrazione degli aspetti somatici, affettivi, intellettuali e sociali dell’essere sessuato, allo scopo di pervenire ad un arricchimento della personalità  umana e della condizione dell’essere", si ritiene più congruo parlare di psicosessualità , per evidenziare che la sessualità  non si esaurisce nella genitalità , ma rappresenta una realtà  multidimensionale cui appartengono, non solo l’aspetto organico ma anche fattori affettivi, relazionali, sociali e culturali. La sessualità  possiede dunque una dimensione strettamente psichica, affettiva la cui genesi e il cui sviluppo affondano le radici nella relazione primaria e precoce del bambino con i genitori, come la teoria psicoanalitica ha da tempo evidenziato. Intesa in questo senso, la psicosessualità  rappresenta un importante e imprescindibile fattore di crescita e di autorealizzazione in quanto può favorire la promozione della capacità  di autoaffermazione, della immagine e valutazione di sè, delle capacità  di interazione gratificante e di adattamento produttivo.
Tale concezione della sessualità  induce a dubitare che abbia veramente senso parlare di handicap e sessualità , in quanto si ritiene che la sessualità  e la possibilità  di esprimerla in accordo con le proprie possibilità  e i propri limiti, sia un diritto fondamentale di ogni essere umano. Questo non significa disconoscere i limiti e le difficoltà  che la persona disabile presenta e che possono ostacolarla nella creazione e nel mantenimento di una relazione affettivo-sessuale o tipicamente genitale. Significa invece impegnarsi per garantire alle persone disabili una espressione della psicosessualità  piena e soddisfacente, in accordo con quanto la natura e i limiti consentono. Questo è un diritto fondamentale che non può essere ignorato e che pone degli interrogativi nuovi anche a livello formativo. Il processo di formazione di operatori, familiari, insegnanti che si relazionino a persone in condizioni di handicap deve necessariamente rappresentare una occasione di trasformazione personale e professionale profonda che presuppone la ricerca della propria autenticità . Chi opera con i disabili deve, infatti, affrontare ed elaborare adeguatamente due aspetti fondamentali, ossia il rapporto con l’handicap e con la sessualità , per evitare di farsi condizionare da concezioni preconcette e fuorvianti che per lungo tempo hanno caratterizzato la relazione con i disabili. Il percorso formativo presentato dal Dott. Di Sauro trae i propri presupposti teorici dalla concettualizzazione psicoanalitica di Erikson, che propone un modello evolutivo stadiale, in cui il paradigma di sviluppo psicosessuale freudiano viene arricchito da una complementare prospettiva sociale. L’elemento fondamentale del percorso formativo proposto, nonchè elemento innovativo e originale rispetto a modelli formativi incentrati sull’informazione, è l’importanza attribuita al vissuto dell’operatore rispetto alla propria condizione psicosessuale e alla consapevolezza di tale vissuto. La relazione con l’utente si configura innanzi tutto come relazione umana, anche se di tipo professionale, che si declina in un "campo bipersonale", caratterizzato dall’interazione dei vissuti emotivi che ciascuno porta nella relazione stessa. è necessario che l’operatore sia consapevole dei fattori personali che mette all’interno della relazione, affinché essi non compromettano l’autenticità  della relazione stessa e non condizionino negativamente le risposte alle richieste della persona disabile. La conoscenza dei propri meccanismi e dei propri vissuti emotivi rispetto alla psicosessualità  può rendere l’operatore capace accettare e promuovere la espressività  della psicosessualità  del disabile, intendendola come possibilità  di crescita umana e di arricchimento personale. In questo senso dunque si afferma la necessità  che gli operatori siano formati non tanto all?educazione sessuale di tipo informativo, quanto piuttosto all’educazione alla crescita, in cui vengano riconosciuti e promossi gli aspetti affettivo-relazionali della psicosessualità . Il riconoscimento dei propri vissuti affettivi consentirà  all’operatore di leggere adeguatamente le richieste sessuali dell’utente disabile, dietro alle quali si celano, il più delle volte, richieste di tipo affettivo.

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