Tutti in campo per una società multiculturale 2003 – (3) frammenti di un discorso tante volte interrotto e ripreso

PRESENTAZIONE

AUGUSTO BATTAGLIA

Direttore della Comunità  di Capodarco di Roma

Non nascondo che quando mi è stato proposto di scrivere la prefazione al libro di Roberto Giacchini ho accettato con non poche perplessità  e per nulla entusiasta.

In primo luogo perché consideravo scarse le mie capacità  di valutazione e di critica di quella che è comunque un’opera letteraria. Ma soprattutto perché immaginavo la solita, ennesima, patetica e stucchevole autobiografia di chi, vivendo oggettive difficoltà , si autocommisera ed autogratifica raccontandole agli altri. Senza considerare che raramente negli altri tutto ciò suscita interesse.

Ma andando avanti nella lettura, di pagina in pagina sono stato quasi risucchiato dal vortice dei frammenti di vita che Giacchini ci propone con immediatezza e semplicità . E mi sono via via appassionato, preso dal ritmo di brani che nella loro essenzialità  non presentano come episodi, ma fanno pensare a fotogrammi, a tessere di un mosaico multicolore. Ed i colori chiari e scuri, gioiosi e tristi della vita avvicendano, mostrandoci uno scenario di problemi, sentimenti, verità , passioni, delusioni, sogni, drammi che non sono semplicemente riconducibili al mondo del disagio, dell’handicap. Appartengono in forme e dimensioni diverse all’esperienza esistenziale, vita di ciascuno di noi.

Per chi come me da più di venti anni lavora immerso nelle dinamiche del sociale è stato come scoprire nuove sfumature di un mondo che non conosciamo mai a sufficienza, un rivedere persone, situazioni, rammentando di volta in volta espressioni di ragazzi, situazioni, episodi, errori, ma anche risultati positivi, imprevedibili di situazioni apparentemente compromesse.
Pregiudizi, luoghi comuni cadono naturalmente di fronte alla crudezza dei fatti, alle verità  che promanano dal "Sottoscala del sobborgo".

Dalla penombra del sottoscala la vita quotidiana, i fenomeni della realtà  metropolitana sono osservati con un’angolatura originale che consente di sfuggire a quell’insensibilità  di massa, all’indifferenza generale di una società  che va al massimo, ma non sa dove. Dal distacco del sobborgo appaiono corpose, dure e materiali le violenze quotidiane, le schegge impazzite, vittime e carnefici al tempo stesso. "L’Italia è fatta male, sono i soldi che la fanno andar male" è la diagnosi lapidaria e sferzante.

Nulla è sottratto al racconto, dalle pulsioni più intime alle difficoltà  delle relazioni familiari, alla noia ed al girovagare di tutti i giorni nella città , nel labirinto dei problemi, degli istinti, delle speranze, dei bisogni di un’esistenza difficile. Il tutto collocato nel vivo dei problemi sociali di oggi, dalla droga alla devianza giovanile, alla violenza urbana, non indifferente alla storia ed alla politica, compreso il dramma del rapimento di Aldo Moro.

Man mano che si procede nella lettura prende corpo e si manifesta la complessità  di una vita in bilico su un precipizio, tra desiderio di morte e voglia di vivere, tra solitudine e socialità , tra frustrazione e speranza del nuovo.

"Ma perché la vita mi ha fottuto?" La domanda è posta a tutti e a nessuno. Non certo per crogiolarsi pigramente ed inutilmente nella rassegnazione, ma col disincanto di chi non cede, di chi si ostina a cercare certezze e risposte, sapendo che forse non si troveranno mai, o che comunque saranno parziali ed insoddisfacenti. Ma continua a cercare, malgrado tutto, malgrado le difficoltà , la durezza, le sconfitte della vita quotidiana.

Il percorso dal sottoscala del sobborgo alla piena cittadinanza sociale è lungo ed irto di difficoltà , richiede convinzione, coraggio, determinazione. E Giacchini vi si incammina, convinto di non aver diritto a nulla meno degli altri. Con orgoglio si tuffa nella vita contando prima di tutto su se stesso, rifiutando istintivamente assistenzialismo, solidarietà  appiccicosa, benevolenza spicciola e superficiale, rapporti non veri, amicizie poco sincere.

Lontano da ogni ambizione letteraria, carico di incertezze linguistiche e grammaticali, non è però difficile trovare nel racconto, in questo o quel frammento tracce incerte delle crude analisi di Pasolini, flebili echi delle solitudini leopardiane, richiami ai temi della musica popolare ed i passaggi duri, i toni hard del linguaggio del rock.

Ma nell’accavallarsi dei sentimenti e delle illusioni, delle amarezze e dei disincanti, nel continuo rincorrersi tra sogno e realtà  l’Autore riesce faticosamente a trovare agganci solidi e forti nell’amicizia sincera, negli affetti semplici per la nonna ed il piccolo nipote, nel suo lavoro precario ma importante, nella ricerca infaticabile di relazioni forti e vere, nella costruzione quotidiana e faticosa della certezza economica su cui poggiare un sogno.

Ed il suo è il sogno semplice, un po’ naif, di chi non cerca che serenità  ed equilibrio. Gli basta una casa nel paese, la rassicurante stabilità  lontana dalle tensioni, dai bagliori, dagli inganni della città . Gli basta l’affetto sincero e stabile di una donna, l’amore.

La sua è la ricerca di una stabilità  che nessuno può dare, nè regalare. Se la deve conquistare giorno per giorno con tenacia nel rapporto inevitabilmente difficile e contrastato con la società , con la famiglia, con se stesso. Non è facile.

I tentativi si ripetono ogni volta che la vita, la società  o più semplicemente una donna lo respingono. Ma piano piano si allontanano i temi di morte e di distruzione, si fa largo la speranza e la fiducia. Si impone, prorompe inarrestabile una capacità  nuova di osservare gli altri, la vita, se stesso.

E con se stesso alla fine si ritrova, non certo perché escluso dagli altri, ma perché si è finalmente ritrovato. Solo con la propria solitudine, ma che non gli pesa oramai più di tanto, con quel buio amico, fedele, che no fa più paura ma rasserena, placa, cancella le amarezze e le difficoltà .

Il buio, amico che ti dice le cose come stanno, che ti fa misurare con te stesso, che ti rende forte e capace di affrontare la vita, anche il pericolo. Il sottoscala diventa un ricordo, non c’è più motivo di cercare rifugio.

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