Il 15 ottobre una prova decisiva aspetta l’attuale legge sull’immigrazione: la Corte Costituzionale, riunita in camera di consiglio, metterà sotto esame la Bossi-Fini. Obiettivo: decidere se il testo faccia a pugni o meno, in alcune sue parti, con la massima legge dello Stato, la Costituzione.
A un anno dalla sua entrata in vigore, la Bossi- Fini deve infatti fare i conti con una lunga lista di eccezioni di illegittimità costituzionale: in almeno 302 casi, giudici di tutto lo Stivale hanno deciso di sospendere il processo che stavano presiedendo, ritenendo che alcuni articoli della legge fossero in contrasto con la Costituzione. L’articolo su cui si sono incagliati la maggior parte dei processi – almeno 221 casi- è senza dubbio il 13 che disciplina l’"arresto obbligatorio in flagranza". La norma prevede che un extracomunitario debba essere arrestato, processato in direttissima e punito con la detenzione se si trattiene sul territorio italiano nonostante l’ordine di espulsione ("arresto obbligatorio in flagranza"). Misure che violerebbero prima di tutto il principio di uguaglianza fra i cittadini di cui parla l’articolo 3 della Costituzione.
Lo abbiamo chiesto a Paolo Bonetti, ricercatore di diritto costituzionale, docente di istituzioni di diritto pubblico e regionale presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca e membro del consiglio direttivo dell’Asgi (Associazione studi giuridici sull’immigrazione). Paolo Bonetti è uno dei massimi esperti in fatto di leggi sugli stranieri, avendo partecipato a due commissioni governative, nel ’94 e ’96, incaricate di elaborare gli schemi preliminari dei disegni di legge del governo sulla condizione giuridica degli stranieri.
Sì, ne ha molti. Ai difetti strutturali che già avevano alcune norme del Testo Unico del ’98 e che la Bossi-Fini non fa che modificare, se ne sono aggiunti altri. Ad esempio: si trovano in molti punti eccessi di discrezionalità lasciata all’amministrazione, senza l’indicazione di criteri e modi per esercitarla. Basta pensare alla disciplina delle quote d’ingresso, affidata all’insindacabile giudizio del governo, senza la presenza di parametri seriamente vincolanti. Questo viola la riserva di legge (un principio che, a garanzia del cittadino, assegna solo al legislatore il potere disciplinare certe questioni ndr) in materia di condizione giuridica dello straniero prevista dall’art. 10 della Costituzione. Ma il nodo più grave riguarda la disciplina delle espulsioni adottate con provvedimento amministrativo (emanato cioè all’amministrazione pubblica, ad esempio dal prefetto, ndr).
Con la nuova legge i provvedimenti di espulsione sono eseguiti quasi in tutti i casi con
accompagnamento alla frontiera da parte della polizia. In una famosa sentenza, la 105 del 2001, che ha sancito la legittimità costituzionale del trattenimento nei centri di permanenza, la Corte costituzionale ha espresso un parere "fuori contesto": l’accompagnamento alla frontiera -ha detto la Corte- è misura "limitativa della libertà personale". E dunque deve essere conforme con l’art. 13 della Costituzione, che disciplina la libertà personale.
In effetti questa norma al comma 2 stabilisce che i provvedimenti limitativi della libertà personale devono essere adottati dall’autorità giudiziaria. Questa è la regola. Al terzo comma c’è l’eccezione: in caso sussistano i requisiti di eccezionalità , necessità , urgenza, tassatività e convalida da parte del giudice, i provvedimenti limitativi possono essere adottati anche dalle autorità di pubblica sicurezza. Ma dal momento che la Bossi-Fini prevede che quasi tutti i provvedimenti amministrativi di espulsione siano eseguiti con accompagnamento alla frontiera disposto dal Questore, questa diventa una misura ordinaria: l’eccezione è diventata la regola ed è venuto a cadere il requisito della eccezionalità .
Conclusione: l’espulsione amministrativa, come prospettata dalla Bossi-Fini, è incostituzionale.
Al contrario: credo che molte altre questioni di illegittimità costituzionale potrebbero essere
dichiarate inammissibili, alludo ad esempio alle eccezioni sollevate per l’"arresto obbligatorio in flagranza". Ma su un punto non ho dubbi: l’illegittimità costituzionale dei provvedimenti amministrativi di espulsione eseguiti con accompagnamento alla frontiera è insuperabile. La Corte finora ha di fatto guadagnato un po’ di tempo, raggruppando e ordinando le diverse questioni sollevate, Ma ora dovrà decidere. Basta leggere la sentenza 105 per pensare che la Corte deciderà per l’illegittimità dei provvedimenti amministrativi di espulsione.
Salterà l’intero sistema delle espulsioni. La Corte può dichiarare incostituzionale la norma tout
court, e in quel caso non avremo più i provvedimenti amministrativi di espulsione nella forma che conosciamo. Oppure, più prudentemente, adottare una sentenza sostitutiva, dichiarando l’illegittimità costituzionale solo dove la norma prevede che il provvedimento sia adottato dal prefetto anzichè dal tribunale. Dal punto di vista pratico, gli effetti sarebbero comunque notevoli, perché tutti i provvedimenti espulsivi si sposterebbero sulla magistratura che, come prescrive la Costituzione, è indipendente da ogni altro potere e deve verificare in modo imparziale l’applicazione della legge.
Non credo che alcune norme legislative italiane in materia di immigrazione e asilo avranno una vita ancora lunga. La Bossi-Fini si pone in contrasto con la Costituzione in molti aspetti, e su altri sta per scontrarsi con le norme comunitarie che sono in corso di approvazione e alle quali anche l?ordinamento italiano deve adeguarsi. Alla fine, anche al di là delle pronunce della Corte, la normativa legislativa dovrà comunque essere modificata in molti suoi punti qualificanti dallo stesso Legislatore. Oltre all’espulsione, penso alla questione del contratto di soggiorno (con cui il datore di lavoro deve impegnarsi a trovare al dipendente straniero un’abitazione e a pagargli il viaggio di rientro, ndr). Il lavoratore già entrato nel territorio italiano viene trattato diversamente rispetto a quello nazionale. Una chiara violazione della Convenzione 143 dell’Oil (Organizzazione Internazionale del Lavoro) e dell’articolo 3 della Costituzione sull’uguglianza tra tutti i lavoratori.