UN FUTURO PER I RAGAZZI DI CHERNOBYL

C’è Cristina, che rispetto a un anno fa è diventata ancora più piccola: 17 anni e un corpo da bambina gracile e poco cresciuta. E c’è Vassili, 11 anni, che quando è arrivato la prima volta non si voleva lavare e non voleva che l’acqua lo toccasse in alcun modo; poi ha scoperto il mare, e per trascinarlo fuori dall’acqua ci sono volute delle ore. E Ruslan, che è bravissimo a cantare; e Sasha, che i suoi 15 anni li ha compiuti il giorno dopo l’atterraggio a Roma, festeggiato da tutti i suoi amici.
Basta guardarli per accorgersi che sono bambini e ragazzi come tutti gli altri, i piccoli di Begoml portati nella Capitale dai volontari de "Il Cavallo Bianco": salutano con un abbraccio e una carezza, sbriciolano la pizza e la lasciano sul tavolo mangiata a metà , si scatenano davanti a un pallone e fanno capricci quando è ora di lavare i denti. Come gli altri. Nove maschi e sei femmine tra i 9 e i 17 anni, con gli occhi chiari e profondi della Bielorussia. Solo, un po’ più deboli degli altri. Fare in modo che non debbano mai sentirsi più soli è l’obiettivo delle due educatrici e dell’interprete che li accompagnano, e dei volontari romani che da nove anni combattono al loro fianco per garantire a questi piccoli e ad altri come loro un futuro diverso dall’ospedale psichiatrico.

VERSO L’ISTITUZIONE TOTALE
Orfani e disabili mentali, gli ospiti de Il Cavallo Bianco sono tra le vittime delle radiazioni nucleari sprigionatesi in seguito alla catastrofe di Chernobyl, nel 1986. Fino ad oggi per loro non c’è stato di meglio che la classe differenziata dell’Internato per minori oligofrenici di Begoml, un piccolo villaggio a 100 chilometri dalla Capitale Minsk: quella che raccoglie i casi più gravi. Ma il problema è soprattutto il loro domani. "Ogni anno", raccontano i volontari romani, "un numero consistente dei 170 ospiti dell’istituto viene sottoposto a visita di controllo da parte delle autorità  sanitarie, e una parte viene trasferita in istituzioni totali in cui è probabile la reclusione a vita". è una valutazione che aderisce a standard di esclusione sociale -rafforzando la logica dell’istituzionalizzazione e non tenendo conto, come avviene in Italia da circa 30 anni, delle residue capacità  del singolo soggetto disabile".
Una denuncia, quella dell’associazione, che scaturisce da un’esperienza di circa 20 anni nel settore dell’handicap e dell’intervento sociale. Il Cavallo Bianco infatti è nato negli anni Ottanta dall’incontro tra giovani con e senza disabilità  mentali e disagio psichico, come ipotesi di "laboratorio permanente delle diversità  sul territorio". Meglio, "come un gruppo di amici". L’incontro con la realtà  di Begoml, raccontano, è avvenuto un pò per caso, quando il primo gruppo di famiglie ha accettato di ospitare per l’estate alcuni dei ragazzi inseriti nei programmi italiani di accoglienza dei minori provenienti da zone radioattive. "Da questa esperienza è nato a poco a poco un gruppo specifico legato all’associazione Il Cavallo Bianco, di cui è diventato parte integrante", spiega la presidente Gaia Carletti.

IL LAVORO DELL’ASSOCIAZIONE
All’inizio hanno comprato una lavatrice e aggiustato uno scaldabagno. Poi quando i primi volontari sono partiti per andare a conoscere più da vicino l’Internato e hanno scoperto questa classe "speciale" "è stato naturale prenderceli a cuore: sono così simili ai ragazzi che lavorano in associazione con noi". Non utenti ma soci, come gli altri. è anche per questo che Il Cavallo Bianco non può diventare onlus: soci disabili non possono essere assicurati. E senza il profilo di onlus si resta fuori da molte opportunità  di finanziamento e sostegno pubblico.
Eppure il sostegno più grande per i progetti dell’associazione viene proprio dall’impegno e dalla passione dei soci. A cominciare da quelli disabili. Sono stati loro infatti a permettere ai piccoli bielorussi di partire per Roma per il secondo anno consecutivo, acquistando i biglietti per il volo da Minsk – 6mila euro – con il ricavato dello spettacolo messo in piedi a Natale. E alcuni hanno partecipato anche alle attività  del loro soggiorno romano nel dormitorio allestito nella parrocchia di San Stanislao, fra maggio e giugno. Su e giù fra il litorale romano e il lago di Bolsena, per dare una mano ai polmoni affaticati dalle radiazioni.
"Il momento peggiore è vederli quando arrivano", racconta Davide, uno dei primi volontari del gruppo. "Con sè portano poche cose, spesso in una busta di plastica: i responsabili sanno che qui trovano vestiti e giocattoli, oltre che cibo e latte". Grazie al contributo del plesso scolastico Ada Negri-Quasimodo, che accoglie nelle sue classi i bimbi dell’Internato che arrivano con i progetti invernali dell’associazione, e alla rete di contatti che ogni socio mette in moto nelle settimane precedenti al loro arrivo. Il resto, dalle cure psicologiche alla musicoterapica, agli interventi di psicomotricità  e neuropsichiatria, viene garantito da specialisti contattati dall’associazione, disponibili a consulenze gratuite.

IL FUTURO è UNA Casa Famiglia
Nel frattempo però i bambini crescono. Allontanarli dal percorso dell’istituzionalizzazione è l’obiettivo del nuovo progetto del Cavallo Bianco. L’idea, spiega Gaia, è dare vita a una casa famiglia, magari con due nuclei da 5 ragazzi, da avviare verso l’autonomia. "Per realizzarla", continua, "abbiamo bisogno di 15mila euro". E di provare a convincere le autorità  locali che "costa meno pagare due operatori che mantenere a vita i ragazzi in istituto". Ma un’alternativa c’è: l’adozione a distanza della struttura. "Si tratta di garantire ogni mese ai -genitori affidatari- circa 60 dollari", osserva la presidente. Uno stipendio medio per gli standard bielorussi. Per informazioni: www.ilcavallobianco.it, Tel. 333/2093605 (Gaia), 368/3634139 (Davide).

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