Mi rivolgo a tutti coloro che, indipendentemente dalle nazioni di provenienza, ospitano (o hanno ospitato o ospiteranno) i cosiddetti “bambini di Chernobyl” (ed anche a coloro che, per qualsiasi ragione, sono interessati a queste tematiche o a quelle ad esse correlate).
Dopo il “sequestro Vika” da parte degli irresponsabili coniugi Giusto ed il conseguente blocco delle accoglienze dalla Bielorussia, un vasto, ma disarticolato, movimento di famiglie ha fatto sentire la propria voce su posizioni, a volte, diametralmente opposte.
Con lo sblocco delle accoglienze, la catarsi.
Ora non voglio entrare nel merito (per quanto ce ne sia da discutere) sulle modalità dell’accoglienza e sulle pratiche di adozione.
Sui sentimenti umani non discuto e vale sempre il beneficio della “buona fede” e dell’onestà morale (tranne i casi manifesti, come quello dei Giusto) delle persone coinvolte.
Potremmo instaurare una discussione senza fine che, partendo da posizioni contrastanti, sorvoli tutto l’immaginario ipotetico e giustificativo e torni ai rispettivi punti di partenza.
Ma non è questo il nocciolo della questione.
Da tempo affermo, in solitudine, che ogni “buona azione” parte dal tenere in considerazione e rispettare l’”interesse prevalente” che la stessa pone in evidenza.
Mi spiego meglio e mi riferisco alle azioni di solidarietà rivolte ai minori di tutto il mondo.
Tutti i minori godono della stessa dignità di essere portatori di attenzioni; ma essa si basa sul bisogno prevalente di ognuno di loro.
Questo bisogno (o interesse) prevalente sta alla base dell’intervento che si vuole portare avanti e può essere rappresentato dalla povertà, dalla situazione familiare, da quella culturale o sanitaria, dalla devianza sociale, dalla istituzionalizzazione, e così via.
Non sfugge a nessuno il fatto che un bambino malato di AIDS in Africa, un bambino che vive in una realtà di contaminazione in un distretto della Moldova, un bambino che vive una situazione di conflittualità interetnica in Cecenia, siano portatori di un preciso interesse prevalente che è quello che indirizza le necessità di intervento e gli strumenti progettuali da adottare.
E a nessuno sfugge che tutti questi bambini siano accumulati dal fatto di essere minori e dalla necessità di assicurare loro quella dovuta tutela che l’etica e l’ordinamento legislativo pretendono ed impongono.
Ma senza la prua indirizzata verso l’interesse prevalente, gli interventi diventano monchi, quando non addirittura devianti e controproducenti.
Se l’obiettivo prevalente fosse stato sempre posto nell’interesse del minore, non ci sarebbero stati il caso Vika e l’ipocrisia dei “progetti di risanamento” come cavalli di Troia pronti a giustificare qualsiasi tipo di accoglienza; ci sarebbero stati, invece e con pari dignità, diversi progetti specifici (cioè indirizzati alla vera ragione dell’accoglienza) e tutti ugualmente sostenibili e realizzabili con progettualità coerenti e dignitose.
Ma voglio tornare a parlare solamente dei “bambini di Chernobyl” e della grande delusione che si è impossessata di me.
Se il nostro interesse è rivolto ai “bambini di Chernobyl” è perché essi, le loro famiglie e le realtà locali di riferimento, soffrono delle conseguenze di un incidente nucleare ed esse, ancora per moltissimi anni, insisteranno sui territori della Russia, Bielorussia, Ucraina, Moldova (ma anche, tanto per non fare gli struzzi, sul nostro arco alpino).
Ma parlare di “nucleare", di situazione radioecologica, di interventi scolastici e nei vari villaggi per l’affermarsi della cultura della radioprotezione locale, di falsità sui dati di Chernobyl, e così via, è un’eresia o, al meglio, un grave peccato mortale; infastidisce il grande cuore di una solidarietà asettica che non vuole essere disturbata da presunti ideologismi o dai soliti “rompiballe” (come il sottoscritto).
Come “Progetto Humus” ci siamo rivolti a tutte le famiglie ospitanti e alle loro associazioni, per sostenere la petizione per l’indipendenza dell’OMS e contro le falsità dell’AIEA sull’evento di Chernobyl e sulle sue conseguenze.
Le adesioni si sono risolte con entità da prefisso telefonico (italiano).
Assoluta indifferenza ed insensibilità!
Una possibilità persa per “tutelare” i bambini di Chernobyl, per cercare di non tradirli con le ipocrisie e le falsità dei dati e numeri ”taroccati” sulle conseguenze dell’incidente nucleare.
Dopo oltre 20 anni dall’esplosione di Chernobyl, abbiamo, ormai, perso due generazioni:
– una generazione di giovani, qui in Italia, scarsamente, o per nulla, sensibilizzata sulle tematiche del nucleare: quelle vere che ci hanno condotto alle scelte delle esperienze di accoglienza e di cooperazione nelle terre contaminate dal fallout radioattivo;
– una generazione in Bielorussia, Russia, Ucraina, Moldova, cresciuta con l’incubo nucleare sotto i piedi e scaldate dal cuore delle relazioni internazionali e delle nostre relazioni umane instaurate, ma con pochi (se non, addirittura, senza) strumenti per affrontare quotidianamente la realtà della contaminazione.
Ma va bene: continuiamo così! E chi se ne frega!
Continuiamo a costruire cessi (per non parlare di computer e varie ristrutturazioni): sicuramente i “nostri bambini” cagheranno pulito,…ma altrettanto sicuramente continueranno ad ammalarsi, se non morire, senza che si sia provato a dare opportunità concrete in campo radioecologico: in quel campo, per esempio, della contaminazione derivante dalla catena alimentare che quotidianamente, nella loro realtà di vita, ingozza i bambini di radionuclidi,…ma, grazie a Dio!, ci sono dei cessi belli e nuovi!!! (E non consoliamoci con i periodi di risanamento all’estero o in patria!: sappiamo tutti che sono utili in maniera limitatissima, o perlomeno molto inadeguata, se non affiancati ad un’azione costante e coerente 365 giorni all’anno nei luoghi effettivi dove i bambini vivono quotidianamente. E non perdiamoci in inutili elucubrazioni sulle accoglienze e sulle adozioni o su loro sterili contrapposizioni. Se le modalità con cui vorremmo dare il nostro bene non si realizzassero, allora il bene verrebbe meno? Se le accoglienze e le adozioni fossero impraticabili, cesserebbero il nostro bene e l’emergenza Chernobyl? Con l’abbassamento della saracinesca sulle accoglienze, si abbasserebbe anche la saracinesca del tanto sbandierato amore verso “il mio bambino”?).
Per questo aderire alla petizione rappresenta un piccolo passo effettivo e che non costa nulla (vedi nella home page di www.progettohumus.it): un passo verso la nostra stessa sensibilizzazione che ci permetta di essere concreti e di affiancare, a tutte le grandi azioni che stiamo facendo, progetti mirati al vero “interesse prevalente” dei bambini di Chernobyl, dei loro genitori, delle loro famiglie, dei loro villaggi,…
In caso contrario, smettiamo di dare tutte le colpe ai Giusto.
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