(Manuel Và zquez Montalbà n, "Il Premio", Feltrinelli 1998)
È strano ritrovarsi all’improvviso qui, senza essermi quasi accorto di come il tempo velocemente abbia corso e divorato le sembianze di quel giovane allegro e spensierato che ero, pronto a rimboccarsi le maniche e a coinvolgersi con tutta la sua buona volontà nel del nostro quartiere, della nostra città , del mondo intero. Giorno dopo giorno, mese dopo mese, soprattutto anno dopo anno.
Ne ho fatte di cose in tutto questo tempo che è passato: ho partecipato alla strutturazione di percorsi ed alla creazione di nuove metodologie di intervento sociale, ho partecipato a dibattiti e convegni, ho scritto colte e forbite recensioni letterarie, teatrali e cinematografiche, degli innovativi e moderni laboratori di creatività ed espressività che ho attivato.
Poi, all’improvviso, forse semplicemente per un dono della , mentre cammino baldanzoso per la strada, noto per caso uno di quelli a cui avevo dedicato i miei sforzi giovanili, a cui avevo un futuro, che addirittura avevo inserito a lavorare al Comune con uno stipendio molto molto interessante…che, nascosto tra gli alberi, osserva la gente che si diverte, i bambini che giocano a pallone, le ragazze che sfilano con il loro ombelico al vento, vecchi amici che portano a spasso un neonato. E continua a stare lì, nascosto, senza che nessuno lo veda, ad osservare . Allora faccio un giro al contrario, come se provenissi da un’altra parte, in modo da presentarmi a lui dentro il suo campo di visione. Lui, effettivamente, mi nota, esce dal suo nascondiglio e fa finta di stare passeggiando e passando da quelle parti per caso. Ci si incrocia, quello è sorridente e subito affabile, mi racconta di una vita meravigliosa che vive ogni momento della sua giornata e che non ha nemmeno un attimo libero per rifiatare. Poi mi chiede di me e ascolta beato quello che gli racconto. Salutandomi, mi dice che bisogna vedersi una sera a cena…appena riesce a liberarsi dai suoi impegni. Mentre mi allontano, con la coda dell’occhio, lo spio…e vedo che si va di nuovo a confondere tra i cespugli…preso dai suoi mille impegni.
L’ collabora con Umberto Lucarelli da dieci anni. Lo incontrammo la prima volta a Giugno 1994, casualmente ad una presentazione di libri, uno suo ed uno del scrittore Roberto Giacchini. Ci siamo trovati e ritrovati, a dissertare e progettare spettacoli teatrali e libri , tante buone cose abbiamo realizzato, tante idee sono rimaste ancora nel cassetto.
Lungo la strada, a me è accaduto spesso di dimenticarmi di tanta gente, su cui (anche insieme ad altri) avevo costruito cattedrali di dogmatismo sociale e culturale infinito.
A me è accaduto spesso di dimenticarmi di tanti amici , che cercavano solo un po’ di compagnia e che ho straconvinto della necessità di impegnarsi come cittadini attivi nelle grandi battaglie del nuovo millennio.
A me è accaduto spesso di dimenticarmi del piacere di scrivere per scrivere, recitare per recitare, mangiare per mangiare. Il gusto delle piccole cose, quelle che mi avevano indicato (che ora vivono una emarginazione sociale e culturale più grande di dieci anni fa)…si è perso nelle fotografie sbiadite della mia .
Il scrittore Roberto Giacchini vive da quasi due anni in una Comunità , dopo aver varcato tutte le soglie della "tortura" umana. Per avere bruciato il materasso del suo letto, nella sua stanza, a casa sua, si è fatto due mesi di carcere in cella di isolamento, due mesi di manicomio criminale, sei mesi di arresti domiciliari in Comunità , quasi un anno di attesa di un giudizio in Tribunale, rinviato più volte, in attesa di appurare la sua .
Eppure Roberto nella mia mente è quel simpatico gigione, che si affaccia dalle pagine dei suoi due libri.
Eppure Roberto è quel fanfarone, che poltriva in palcoscenico durante lo spettacolo di Lucarelli.
Eppure Roberto è l’amico che cercavo di notte perché se ne era scappato di casa, dopo una litigata con la madre.
Poi, dopo tanto tempo, lo incontro e ritrovo un’altra persona. Le fotografie della memoria e del quadretto appeso nella mia stanza non coincidono con la realtà .
Da qualche anno, l’ si occupa dei ragazzi con disabilità psichica e mentale di un Orfanotrofio bielorusso. , già a 16 anni, spesso e volentieri, se si comportano come Roberto (e anche per molto meno) vengono internati in . Sono considerati e non si sa dove altrimenti mandarli. Somigliano tanto a tutti gli amici , che ho conosciuto venti anni fa: già , allora, avevamo tutti tra i 15 e i 20 anni…ed, in mezzo alle loro difficoltà , sbocciava una grande voglia di vivere…malgrado tutto…anzi a cominciare dal loro specifico modo di essere.
I ragazzi bielorussi sono come una fotografia in carne e ossa, che, all’improvviso, si impone alla mia attenzione sopita dalla gloria personale conquistata in tanti anni di fervente impegno nel …ma anche quella fotografia è qualcosa d’altro.
Ogni persona è unica ed irripetibile…non è ripetibile neanche da se stessa, neanche davanti a se stessa…
E allora, nel tracciare un bilancio di questi anni trascorsi sulla , mi appare sacrosanto rimettermi in gioco dalla testa ai piedi, buttare sul tavolo da gioco della vita tutte le certezze, le presunte verità acquisite e le conquiste acclamate e conclamate, per fare esplodere il tutto in un , che parta dalla viscere più profonde di ciascuna persona umana, anche dalle viscere, un unico e irripetibile…
Dalla può risuonare il dolore e la gioia della vita, senza che alcuno si arroghi il diritto/dovere di spiegare il nostro grido, di arredare e ammobiliare la nostra esistenza.
Lucarelli, con il suo racconto breve , è stimolo e provocazione: mi appare come un "saggio" che ha cominciato questo percorso, un percorso che parte da lontano, dalle viscere della sua martoriata.
Quando lessi quel racconto, lo trovai noioso e inutile in sè, se non andando un passo indietro sulla strada creativa ed umana di Umberto, soprattutto ritornando con la mente alle emozioni del suo racconto precedente, quando Lucarelli viene dilaniato nelle profondità della …è dal dolore lacerante di che nasce la di . Umberto si accorge all’improvviso di una creatura che non parla, che non fa valere le proprie ragioni sbattendo i pugni sul tavolo, che .
E sperimenta l’ più profondo.
L’aveva già fatto, tutti l’abbiamo già fatto, siamo sicurissimi di averlo fatto e rifatto tante volte. Ma come essere sicuri di non sovrapporre i nostri pensieri a quelli di una persona che non li esprime verbalmente, come essere sicuri di non utilizzare la persona che solo per santificare i nostri dogmi irrinunciabili, come essere sicuri che il nostro intervento sociale coincida con il desiderio della persona che ho di fronte?
Stavolta, Lucarelli non può rifugiarsi nella ricerca di fogli scritti dove trovare risposte razionali alle sue domande (come nel libro e nel film ), oppure imbarcarsi con tutti i suoi allievi verso isole esotiche, facendo riecheggiare in loro i suoi ricordi di artista (come nel film ) e nemmeno compiacersi delle proprie doti umane e capacità professionali di sintetizzare e presentare al pubblico delle tesi più che soddisfacenti (come nello spettacolo teatrale e in video ). Ora, è veramente solo…davanti ad una persona che sembra una lavagna bianca, da cui è improbabile tirare fuori qualcosa…
Lucarelli sembra essersi incaponito da qualche anno su questa questione, su quella persona, che, pur essendo la somma di tante persone incontrate, è sempre lì presente davanti a lui.
Quella persona è anche quello che continua a nascondersi dietro i cespugli, a spiare la vita apparentemente felice degli altri.
È quell’altro che conosco come un orsacchiotto da coccolare e che invece è un tormentato uomo solitario, ormai lontano dalle fotografie da angioletto della Prima Comunione.
È quel ragazzo bielorusso con il pigiama da carcerato, che cammina su e giù per un corridoio, cercando di acchiappare i raggi del sole che trapelano dalla finestra di quell’esilio a vita.
Umberto Lucarelli e l’, una provocazione reciproca di percorsi, idee e sconfitte.
Ho necessità di far decantare pian piano l’ardente desiderio di gloria e successo degli anni giovanili…per cercare, , di diventare semplicemente un amplificatore o un pre-stimolatore della voce di chi non l’ha…perché nessuno gli ha mai dato la parola… o forse perché la parola non la vogliono (?!?).
Mi sento al capolinea delle . Mi accorgo di essere immerso in un mare infinito di chiacchiere, in un universo di soldi buttati al vento, in una depressione acuta e cronica di disfatta e di disfattismo.
è forse l’occasione per cominciare a riconoscere i miei errori…anche io protagonista del ciarlare a vuoto di tutto e di tutti e, soprattutto, …compresi i tanti amici , di cui anche le fotografie sono lacerate dalla vita.