Ieri sera, mentre facevo l’amore, mi sono accorto per la prima volta che "fare davvero l’amore" significa farlo da sempre e per sempre.
Qualcosa di simile al respiro, che muta, si rinnova, assume infinite forme, ma non si interrompe mai.
L’autentico incontro fra i due corpi è dunque l’incontro tra due libertà, capaci di accettare qualsiasi mutamento, senza mai avere la sensazione di sottomettersi.
Mi sono commosso nel notare che non esiste dunque un inizio o una fine del fenomeno, ma solo una continuità, un flusso di energia che scorre verso il mare dell’essere, attraversando la pianura dei desideri, delle attese, dei silenzi che tracciano ponti di passaggio tra un’emozione e l’altra.
Per anni ho pensato che il rapporto amoroso iniziasse nel momento in cui una carezza raggiunge l’altro corpo e si veste di una reazione palpitante e calda, che invita a proseguire con altri movimenti e anche ora che sto scrivendo, il flusso magico che percorre il mistero dell’incontro scorre delicato al di là delle parole.
E il mio crescente desiderio ritrova la memoria del piacere
E il piacere si tempra nell’affetto e l’affetto si quieta nella certezza che se si vive vuol dire che si ama, permanentemente, e se non si ama significa che si sta semplicemente esistendo e l’esistenza non rivela alcun mistero, è forse solo un misero segmento, tracciato tra la nascita e la morte.
Insomma, da oggi, non compirò alcun pensiero o alcuna azione che non sia illuminata dalla coscienza che già sto facendo l’amore, prima ancora di incontrare la donna con cui mi abbandonerò a questo gioco imbattibile, nato dal mio primo vagito e destinato ad affievolirsi, ma a non cessare, con un ultimo, estremo sospiro.
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Sono quattro mesi che evito accuratamente di accendere la televisione e una delicata coltre di serenità ha avvolto i miei pensieri.
Consiglio vivamente ai miei amici di scoprire questa delicata gioia che nasce dalla sottrazione di forti dosi di mediocrità che sgorgano dai programmi televisivi.
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Ho concluso un accordo con Fabio Volo che, in un modo o in un altro, durante la sua trasmissione "Il volo del mattino" comunicherà direttamente o indirettamente agli ascoltatori che ogni giorno muoiono di fame 30.000. bambini.
La cosa non dev’essere semplice perché né ieri né oggi Fabio è riuscito a inserire l’informazione nel suo programma.
Tanto che gli ho proposto di telefonarmi e di dare a me la responsabilità di questo dato agghiacciante, ben presente nelle statistiche delle Nazioni Unite.
Per ora vorrei informare i miei amici del Diario che ogni semplice funzionario delle Nazioni Unite prende 60.000 dollari l’anno di stipendio base e ci sono 61.000 funzionari (cifre ufficiali del responsabile delle risorse dell’Onu).
L’Onu costa ogni anno 24.000 miliardi di vecchie lire l’anno, più circa 8.000 miliardi per le missioni dei caschi blu (dati ONU per l’anno 2003)
Insomma, per evitare la morte di questi trentamila bambini al giorno con del buon riso integrale occorrerebbero circa 4.300 miliardi l’anno e cioè una somma otto volte inferiore a quello che viene speso per le sole Nazioni Unite.
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Allego il Grillo Parlante pubblicato Sabato 11 sull’Unità.
IL GRILLO PARLANTE
Infanzia di guerra.
In questi giorni di fine estate e di guerra strisciante ho visto emergere sugli schermi televisivi abbondanti biografie di Benito Mussolini.
Vorrei contribuire con un ricordo.
Gargnano, piccolo paese sul lago di Garda, dove a villa Feltrinelli aveva sede l’Alto Comando tedesco.
Mia zia, bellissima e per niente timorata, svolgeva le mansioni, di vivandiera, nella grande dispensa della villa.
Così un giorno la mia sorellina di sei anni e io di cinque, abbiamo potuto accompagnare la zia e nutrirci abbondantemente, in un periodo in cui la guerra negava qualsiasi cibo che non fosse una fettina smunta di polenta e qualche foglia bollita di cavolfiore. Nella dispensa erano immagazzinati i cibi più vari, lo scatolame contenente marmellate di ogni paese, dolci e biscotti in quantità, un vero paradiso, quasi una burla, per due creature affamate. Tanto che, dopo un pasto indimenticabile, noi bambini ci siamo addormentati nella cameretta della zia che dava sul grande giardino.
Svegliato nel cuore della notte da una musica delicata mi sono spinto fino al balcone, dal quale potevo vedere una gran quantità di gente in abito da sera o in divisa militare, intenta ad ascoltare un omone dalla testa rasata che suonava il violino.
Ho svegliato la mia sorellina, con la quale condividevo ogni emozione, e lei, stropicciandosi gli occhi, ha mormorato:
"Facciamo piano, quello che suona il violino è il Duce".
Non sapevo cosa significasse, ma capii subito che si trattava di qualcosa di molto importante, anche se quell’uomo, che muoveva l’archetto in modo goffo e quasi impaurito, suscitava in me un sentimento di pena.
Dopo un lungo applauso degli invitati, siamo tornati al sonno infantile nel quale quelle poche immagini avrebbero assunto la consistenza dei sogni.
Il giorno dopo siamo rimasti nella dispensa, dove la nostra felicità non aveva limiti, perché la zia, tra una faccenda e l’altra, ci porgeva un assaggio di tutto, pesche sciroppate, marmellata di ciliegie, biscotti ripieni al miele. Un incanto.
Poi d’improvviso il suono di un pianoforte, oltre la finestrella che dalla dispensa dava sul salone dei banchetti, ci ha spinti a spiare.
Dalla finestrella si vedeva, a pochi passi da noi, l’omone dalla testa rasata, con la barba incolta e lo sguardo triste, intento a tagliare un grosso pezzo di carne.
Al tavolo con lui alcuni ufficiali tedeschi in uniforme e poco discosto uno di loro che suonava il pianoforte.
Siamo rimasti a spiare, finché l?uomo che mia sorella chiamava "Il Duce", dopo aver scostato il piatto da sé, ha posato la fronte sul braccio disteso accanto al bordo del tavolo e si è addormentato.
Gli ufficiali hanno abbandonato il pranzo allontanandosi in punta di piedi facendo cenno a quello seduto al pianoforte di smettere.
Così, nel silenzio assoluto della dispensa giungeva ormai solo il russare pesante dell’uomo dall’aria infelice e dalla testa rasata.
"È quello del violino, il Duce".
"Chi è il Duce?" Ho chiesto a voce bassa.
"Il capo della guerra".