INCHIESTA DI

Alle Direzioni Provinciali del lavoro sono arrivate quattro richieste nominative per ogni ingresso previsto dal decreto flussi. è un verdetto senza appello: il divario tra ciò che chiede il mercato del lavoro e quanto concesso dal decreto flussi è di dimensioni spaventose.

Già  dalla pubblicazione del decreto era chiaro che anche quest’anno le quote non avrebbero soddisfatto le esigenze di aziende e famiglie. Volevamo però fare un passo in più, cercando di quantificare questo "errore".

A un mese dalla pubblicazione del decreto flussi abbiamo chiesto alle DPL di tutta Italia come procedeva la corsa alle quote.

Non tutte ci hanno risposto: in molti casi dovevano ancora mettere ordine nella valanga di richieste, e non potevano iniziare a farlo con centinaia di persone ancora in fila agli sportelli.
Chi ha trovato il tempo di fare i conti ha però fotografato per noi lo scenario, più che preoccupante.

È un viaggio illuminante sui limiti del decreto flussi.

Da situazioni (relativamente) meno gravi come quelle di Forlì e Roma, poco più del doppio delle domande rispetto alla disponibilità , si precipita in altre assolutamente spaventose.
A Milano ci sono già  tre richieste per ogni ingresso autorizzato, a Brescia il rapporto è di 5 a 1, a Torino 8 a 1, a Bologna hanno una montagna di domande nove volte più alta della quota concessa.

Complessivamente, nelle province che abbiamo preso in esame sono state presentate trentaduemila domande per poco più di ottomila posti disponibili: quasi 4 a 1.
Questo rapporto può darci il numero di domande presentate in tutta Italia: almeno 120mila a fronte di solo 29mila ingressi autorizzati. E non dimentichiamo che è una stima al ribasso, perché quasi ovunque si continuano a presentare richieste nominative, e il divario tra domanda e "offerta" cresce di giorno in giorno.

Prenotazioni e lotterie
Il fatto che le quote vengano assegnate in base all’ordine di presentazione delle domande, ha scatenato anche quest’anno la corsa all’accaparramento dei pochi posti disponibili.
Di fronte alle Dpl si sono snodate per giorni (e notti) le code di aspiranti datori di lavoro, o, il più delle volte, di immigrati delegati dai loro principali a presentare le domande.

In alcuni casi si è cercato di limitare i danni.

Alla Dpl di Roma, per ridurre i tempi d’attesa in fila, al posto di accettare subito domande e documenti hanno preso solo le prenotazioni dei datori di lavoro, fissando degli appuntamenti per la presentazione.
"Abbiamo appuntamenti fino ad aprile – spiega la dott.ssa Anna Maria Miraglia – ma almeno la fila scorreva più velocemente, e l’emergenza di fronte agli sportelli non è durata più di qualche giorno".

A Milano hanno invece eliminato le file agli sportelli accettando solo le domande spedite per raccomandata.
"Anche qui ci sono state file, – racconta la dott.ssa Valentini – ma solo quando abbiamo distribuito i modelli per le domande" .
Anche questo metodo ha però delle controindicazioni: "se mancano dei documenti – spiega la Valentini – dobbiamo contattare i datori di lavoro per chiedere un’integrazione, e questo allunga i tempi". A volte inoltre nell’affrancatura c’è la data ma non l’orario di spedizione, e quindi la domanda viene messa in coda a quelle della giornata, anche se magari il datore di lavoro si è presentato alle Poste alle 8 di mattina?

A Verona, dove la corsa alle quote è iniziata solo il 17 febbraio, le notizie che arrivavano dal resto d’Italia hanno gettato nel panico il sindaco Paolo Zanotto che ha proposto "estraiamo a sorte i posti disponibili". Alla legge del più forte (quanto tempo riesco a rimanere in fila) si doveva secondo il sindaco preferire quella del più fortunato.
La proposta non è stata accolta, ma almeno il preallarme ha fatto spostare la raccolta delle domande dai locali della Dpl a quelli più ampi della Fiera.

Per lo più si è trattato di palliativi: quasi ovunque non si è riusciti ad evitare la vergogna delle code. Quel che è peggio, come risulta dalla nostra inchiesta, tre persone su quattro si sono messe in fila inutilmente!

Gli esclusi
Che fine faranno gli esclusi?
Andranno ad ingrossare le fila degli irregolari, arricchendo chi lucra sul lavoro nero e vivendo una vita senza diritti in questo Paese.

Parte di loro è ancora all’estero.
Quando si vedranno chiudere in faccia la porta dell’Italia non si toglieranno però dalla testa che in questo Paese c’è posto anche per loro. Hanno ragione. Che senso avrebbe altrimenti quel contratto già  firmato con il datore di lavoro?
Prima o poi risponderanno comunque alla chiamata, entreranno in Italia e saranno ingoiati dal sommerso.

Ad aspettarli troveranno il resto degli esclusi.
Buona parte delle richieste nominative, inutile prenderci in giro, riguarda lavoratori già  irregolarmente in Italia, che utilizzano il decreto flussi per prendere un permesso di soggiorno.
Bocciati dalla lotteria del decreto flussi non faranno altro che tornare invisibili nelle imprese e nelle famiglie italiane, aspettando il prossimo decreto o la prossima sanatoria per ritentare la sorte.

Per quanto scomodi o poco popolari, è su questi dati che si dovrebbe ragionare.
O si definiscono i flussi di ingresso in base alla logica della domanda e dell’offerta oppure non ci sarà  altro da fare che mettere in cantiere un’altra maxi-regolarizzazione.
Presto l’esercito degli esclusi sarà  di nuovo un pugno in faccia anche per chi non li vuole vedere.

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